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Sostenere, portare a termine, custodire – Omelia per l’inizio del ministero di don Marcello Di Camillo, parroco (San Donato Valcomino, 26 ottobre 2025)

SOSTENERE, PORTARE AL TERMINE, CUSTODIRE 

Omelia per l’inizio del ministero di don Marcello Di Camillo, parroco
San Donato Valcomino, 26 ottobre 2025

 

Cari fedeli, cari presbiteri, carissimo don Marcello,

la lettera dell’Apostolo Paolo (2Tm 4,6-8.16-18) ci introduce in modo molto illuminante nella celebrazione eucaristica nella quale viene presentato dal Vescovo a questa Comunità di S. Donato Val Comino il suo nuovo Parroco nella persona del carissimo don Marcello di Camillo. Quello che san Paolo rivolge a Timoteo, oggi il Vescovo lo sussurra affettuosamente nel cuore di don Marcello: Figlio mio… C’è una paternità del Signore che si traduce nella paternità di coloro che il Signore chiama a guidare la sua Chiesa: il Vescovo per i suoi presbiteri, i presbiteri per i fedeli loro affidati da Dio Padre. E’ più bello e anche più vero sentirsi chiamare “padre” che “don”! Siamo chiamati a esprimere fortemente la paternità di Dio. Tuttavia, la sublimità della paternità di Dio passa anche attraverso le imperfezioni di coloro che devono esprimerla nella dimensione umana, relazionale, concreta, storica, pastorale.

Dopo il saluto affettuoso, le parole di san Paolo scrivono una pagina autobiografica nella quale sintetizza l’intero percorso del suo apostolato: dichiara? Ho combattuto la buona battaglia…ho terminato la mia corsa…ho conservato la fede. Sono tre dimensioni che caratterizzano anche il nostro servizio pastorale.

Carissimo don Marcello,

sei chiamato a combattere la buona battaglia.

Il combattimento è qualcosa di arduo, di coraggioso, di tenace, di sostenibile. Richiede volontà, fiducia, convinzione interiore motivata, radicata e profonda. La buona battaglia riguarda – lo dirà subito dopo l’Apostolo Paolo – l’annuncio del Vangelo. Tu sai già quanto l’annuncio del Vangelo è particolarmente impegnativo oggi. Il Vangelo per Paolo è Colui che ha incontrato lungo la via di Damasco, il Signore risorto. Paolo si dichiara giudeo zelante, fariseo osservante. Si trovava sulla via per Damasco, dove si recava per denunciare la comunità di cristiani che lì viveva fervidamente. D convinto fariseo si sentiva in dovere di impedire questa nuova e pericolosa eresia che avrebbe contaminato drammaticamente l’ortodossia giudaica. A lui Gesù si rivela nella luce che lo abbaglia e nella voce che lo chiama: “Saulo, perché mi perseguiti?”. Rispondendo a questa voce, chiede: “Chi sei, o Signore?” È una domanda un po’ particolare, perché contiene già la risposta. Chiedendo “Chi sei, Signore?”, Paolo riconosce già Gesù come Kyrios, il Risorto. Il redattore del racconto presentando con la domanda di Saulo ci rassicura immediatamente della buona riuscita della sua ricerca: chiede di Colui che lo ha cercato e Paolo riconosce già suo “Signore”. E’ l’incontro decisivo che gli cambia la vita: dalla via di Damasco alla Via che è Gesù Cristo.

Caro don Marcello la domanda di Saulo sia sempre viva nel tuo cuore in una ininterrotta e dinamica ricerca dell’incontro vivo con il Signore: “Chi sei, Signore, per me? Chi sono io per te?” Sono le domande che ridestano di continuo la nostra responsabilità, la nostra consapevolezza, la nostra missione. Combattere la buona battaglia è annunciare e testimoniare in prima persona il Vangelo, la Buona notizia per te e per i tuoi fratelli, a te affidati. Siamo di ritorno dall’ultima Assemblea nazionale sinodale, dalla quale emerge definitivamente la Chiesa del futuro: sinodale e missionaria, presenza viva di Vangelo vissuto. Annunciare è riaffermare nella coscienza di ogni creatura il mistero di Cristo vivo, che molte ideologie anticristiane vorrebbero sradicare dal nostro cuore.

 

“Ho terminato la corsa”

La seconda dichiarazione che Paolo fa riguardo al suo apostolato è di essere giunto al traguardo.  Mi sembra di vedere in questa sua dichiarazione una sorta di “passaggio del testimone”: da Paolo a te, don Marcello. Lui è al termine, tu sei all’inizio. Il termine “corsa” leggiamolo come “processo”, percorso. Paolo si serve volentieri di un’immagine sportiva, la corsa: esprime tenacia, resistenza, capacità atletica, frutto di un continuo allenamento nella palestra della missione costante e permanente. Fare ministero significa tenere continuamente in movimento, in dinamismo, questo processo dell’annuncio del Vangelo. Correre significa tendere, portare a compimento la missione ricevuta, volgere a buon fine l’incarico affidato. Insomma, la corsa riguarda l’attuazione di un percorso chiaro, definito, continuo, perché la Parola si diffonda e possa correre per raggiungere il cuore di tutti. L’annuncio del Vangelo richiede fiducia nella potenza del seme della Parola e la pazienza dell’attesa del suo germoglio, perché l’annuncio del Vangelo è attività umana e opera di Dio, insieme.

“Ho conservato la fede”

Il verbo ‘conservare’ non significa mettere da parte, deporre in un angolo della casa, a mo’ di ripostiglio. Piuttosto, significa custodire la fede da ogni insidia, e nutrirla prendendosene cura assidua e sapiente. Paolo alla fine della sua vita, del suo ministero, è felice di poter dire: ”Ho conservato la fede”. Di quale fede parla? Non solo della sua fede personale, dal momento che lo vedremo pronto a sacrificare la sua vita per il Signore nella forma cruenta del martirio.  Paolo pensa anche alla fede dei cristiani delle comunità da lui formate in ogni parte del bacino mediterraneo.  Ha custodito la fede in coloro che aveva condotto verso la conoscenza di Gesù risorto. Ecco la missione premurosa del Pastore: nel mentre ti prendi cura della tua personale amicizia con Gesù, sei chiamato a custodire la fede degli altri, sino in fondo. In tutto questo l’Apostolo Paolo ci aiuta a stare con i piedi per terra, perché subito dopo fa riferimento anche a motivi e momenti di prova, di solitudine, di sconforto, di abbandono da parte dei suoi collaboratori più vicini: “Nella mia difesa in tribunale nessuno mi ha assistito, tutti mi hanno abbandonato”. Ci sono i momenti in cui facciamo i conti anche con i nostri limiti, le nostre fragilità, ma soprattutto con le nostre responsabilità impegnative, con la tristezza di uno scarso rendimento. La prova, tuttavia, ci riconsegna al padrone del “padrone della vigna”, ricordandoci che noi siamo solo amministratori dei misteri affidati, e poter riconoscere nelle prove che: “Il Signore mi è stato vicino”.

Sostare nel Tempio

Oggi in quel tempio di parla il Vangelo (Lc 18,9-14) siete in tre a sostare: il pubblicano, il fariseo e don Marcelo. Ti invito a fare sintesi della parte migliore dei due al Tempio. Infatti, anche a te spetta “stare davanti a Dio” con il fariseo, ma non come lui. Esercita la gioia di vivere alla presenza del Signore, come i grandi testimoni dell’antica Legge; è Lui, il primo davanti al quale noi dobbiamo imparare a stare con la preghiera e la meditazione del cuore. Ma tutto questo lo devi vivere con il cuore del pubblicano: umile, fiducioso, affidato, anzi abbandonato, alla misericordia del Padre. Diventare “parroco” è come diventare prete. Per questo, tra poco rinnoverai le promesse della tua ordinazione presbiterale. Sposerai con il cuore la vita di questa comunità: camminerete insieme, pastore e gregge, sulle vie della speranza, per una pienezza di vita che attraverso la predicazione del Vangelo si fa grazia per tutti. Sin dalla tua prima adolescenza hai sperimentato la tenerezza della Madre di Dio, la Vergine Bruna di Canneto: senti sempre vicina la sua materna presenza, invoca su di te e sulla comunità di San Donato Valcomino la sua particolare intercessione come Madre e Maestra di speranza.

                                                                                                                         + Gerardo Antonazzo