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“Ministri umili e solidali”, Omelia per la Festa del Battesimo del Signore nel Rinnovo del Mandato per i ministeri (Sora-Cattedrale, 8 gennaio 2023)

MINISTRI UMILI E SOLIDALI

Omelia per la Festa del Battesimo del Signore
Rinnovo del Mandato per i ministeri
Sora-Cattedrale, 8 gennaio 2023

 

 

Nella festa dell’Epifania, i Magi ripartono dopo aver riconosciuto e adorato il Re-Dio-Uomo, ormai trasfigurati radicalmente dall’incontro. Ritornano trasformati interiormente; per loro cambiare strada è come aver cambiato vita: Per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”. La celebrazione del Battesimo del Signore accompagna la domanda della fede: “Chi è costui?”. La ricerca della fede riceve la risposta affermativa del Padre: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”.

 

Profezia del Servo sofferente’

L’intonazione teologica e spirituale della celebrazione del Battesimo del Signore è segnata dall’apertura del profeta Isaia: “Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio”. E’ l’inizio del cosiddetto “Canto del Servo del Signore”, il primo di una tetrade incastonata nella sezione del libro di Isaia 40-55. Nei quattro Carmi entra in scena una figura misteriosa, il “Servo di Yahweh” (del Signore), variamente decifrato dagli esegeti come un profeta che si fa carico delle sofferenze del popolo, oppure lo stesso Israele sfigurato dall’esilio ma che rinasce, oppure profezia di un personaggio specifico e ancora sconosciuto da attendere. Al Servo di Dio è affidata una specifica missione: risollevare il popolo da una condizione di umiliazione e di sofferenza: “…perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre”. Il titolo di “Servo” rimanda principalmente ad una missione ricevuta da Dio, da portare a termine fedelmente, in osservanza alle indicazioni da Lui ricevute. Il rapporto del Servo con il Signore è illuminato dall’esplicazione: “…il mio eletto di cui mi compiaccio”.

E’ mio Figlio

Alla richiesta di Gesù di essere battezzato, Giovanni rimane sbalordito e oppone resistenza perchè riconosce Gesù come il Messia, il Santo di Dio, Colui che è senza peccato. Ma Gesù lo invita a non impedire, a non opporre resistenza “perché conviene che adempiamo ogni giustizia”. Possiamo intendere: Gesù viene a dare compimento ad ogni profezia, annunci antichi, attese e speranze di Israele. La letteratura cristiana ha sempre applicato al Messia, e quindi a Cristo, i contenuti dei quattro Carmi di Isaia. Le antiche parole del profeta Isaia diventano le parole del Padre su Gesù, presso il fiume Giordano: Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”. Il Padre consacra il Figlio con il dono dello Spirito: Gesù rivela finalmente l’identità del “Servo del Signore” che riceve una specifica e sofferta missione da compiere: riceve il battesimo come segno della sua “immersione” nella “sporcizia” del cuore umano,  per solidarizzare con l’umanità malata, ferita dal peccato, seguendo una linea discendente di abbassamento, di umiltà fino alle umiliazioni, di solidarietà estrema con la sofferenza: “Questo gesto rivela innanzitutto chi è Gesù: colui che si è abbassato per farsi uno di noi, colui che ha accettato di umiliarsi fino alla morte di croce (cfr Fil 2,7) … E’ il gesto di colui che vuole farsi in tutto uno di noi e si mette realmente in fila con i peccatori” (Benedetto XVI).

Umile e solidale

Potremmo sintetizzare la missione di Gesù con un binomio dirompente: umiltà e solidarietà. Il gesto del battesimo anticipa la croce, il lavacro del sangue nel rigenerare e redimere l’uomo dal peccato. L’umiltà del “servo” lo abilita alla perfetta solidarietà e comunione con l’uomo, raccogliendo il suo bisogno di salvezza, anche quando non è gridato: “Egli, che è uguale al Padre nella forma di Dio e simile a noi nella forma di servo, ci trasforma a somiglianza di Dio. Dopo aver nutrito noi servi attraverso la forma visibile di servo, ci rende liberi, atti a contemplare la forma di Dio” (Agostino, Discorso 194). Il “compiacimento” del Padre nei confronti di Gesù preconizza la sua obbedienza filiale nell’atto di consegnare liberamente e per amore la propria vita per i peccatori: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito (Lc 23,46). Sono le ultime parole che il Signore pronunciò sulla croce; il suo ultimo sospiro – potremmo dire –, capace di confermare ciò che caratterizzò tutta la sua vita: un continuo consegnarsi nelle mani del Padre suo” (Francesco, Omelia per le esequie di Benedetto XVI). Come il ‘servo sofferente’ annunciato dal profeta Isaia: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! (Gv 1,29). Attraverso il suo dolore plasma di misericordia divina ogni ferita e dolore umano.

In Lui, il paradigma di ogni ministero

“«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» è l’invito e il programma di vita che ispira e vuole modellare come un vasaio (cfr Is 29,16) il cuore del pastore, fino a che palpitino in esso i medesimi sentimenti di Cristo Gesù (cfr Fil 2,5). Dedizione grata di servizio al Signore e al suo Popolo che nasce dall’aver accolto un dono totalmente gratuito: «Tu mi appartieni… tu appartieni a loro», sussurra il Signore; «tu stai sotto la protezione delle mie mani, sotto la protezione del mio cuore. Rimani nel cavo delle mie mani e dammi le tue»” (Francesco, Omelia per le esequie di Benedetto XVI).

Care sorelle e fratelli laici, la missione è solo una, quella del “Servo Gesù”, eletto e consacrato dallo Spirito del Padre: è da Lui che dobbiamo imparare, è Lui che dobbiamo imitare, a Lui conformarci. Ogni ministero si giustifica non come proliferazione, ma come partecipazione all’unica opera evangelizzatrice di Cristo. Dal compiacimento del Padre su di voi, scaturisce la missione e il ministero da esercitare secondo il paradigma del Figlio. Perciò, indico alcune qualità e caratteristiche che scaturiscono dallo stile di Cristo, per noi molto preziose. La “teofania” è principio e fondamento del ministero. Quella del Giordano è una manifestazione di Dio in un momento di intima e intensa preghiera al Padre, nella quale Gesù è totalmente immerso: “Si aprirono per lui i cieli” (cfr Lc 3,21). Quale esperienza di fede possiamo narrare con la nostra vita? Nell’esercizio di ogni ministero bisogna restare sotto il ‘cielo’ di Dio, della sua chiamata, della sua presenza, e del suo mandato, che oggi si rinnova. Questo va assicurato grazie ad una vita spirituale intensa, autentica. Ogni servizio pastorale deve essere costantemente nutrito del cibo solido della formazione permanente. Il ministro non si abbevera al devozionismo di maniera che spesso nasconde una mancanza di fede autentica, né ad uno spiritualismo disincarnato. “Questo amore del Padre, che abbiamo ricevuto tutti noi nel giorno del nostro Battesimo, è una fiamma che è stata accesa nel nostro cuore, e richiede di essere alimentata mediante la preghiera e la carità” (Francesco, Angelus, 13 gennaio 2019). Cari amici, la mancata vita spirituale impedisce ai cieli di aprirsi anche su di noi. Di conseguenza, il ministero svolto sarà un affare troppo umano, organizzativo, forse burocratico, prosciugato dall’aridità spirituale. Infine, il ministero che la gran parte di voi esercita come ministri straordinari dell’Eucarestia, è molto illuminato dal Cammino sinodale della Chiesa. Questo ministero parla dell’incontro con molte fragilità nelle famiglie. Dunque unisce due Cantieri importanti: la famiglia e le sue fragilità. La famiglia di Betania offre spesso al Maestro il calore domestico dell’accoglienza del Maestro, ma deve anche affrontare la sfida della malattia e della morte di Lazzaro, fratello di Marta e Maria. La gran parte di voi si relaziona con diverse famiglie, o anche strutture di accoglienza, nelle quali sono accudite persone anziane, ammalati giovani e adulti, amici segnati dalla disabilità fisica o mentale. Siete chiamati a spendervi con lo stile del “servo sofferente”, e cioè nell’umiltà e nella solidarietà, per testimoniare in modo concreto la prossimità amorevole di Dio. Il canto della Vergine Maria rappresenta per noi una provocazione costante: “Ha guardato l’umiltà della sua serva”, in continuità con ciò che di sé aveva dichiarato nella casa di Nazareth: “Ecco la serva del Signore”.

                                                                                               + Gerardo Antonazzo