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L’ultima sorpresa dello Spirito – Omelia per la Messa in suffragio di papa Francesco (Basilica-Santuario di Canneto, 24 aprile 2025)

L’ULTIMA SORPRESA DELLO SPIRITO

Omelia per la Messa in suffragio di Papa Francesco
Basilica-Santuario Regionale di S. Maria di Canneto, 24 aprile 2025

 

 

Carissimi,

la gioia della liturgia pasquale riscalda il cuore e accompagna i discepoli del Risorto verso la Domenica in Albis, dedicata da san Giovanni Paolo II alla Divina Misericordia. Nella proclamazione della Parola oggi ascoltiamo la predicazione di Pietro dopo aver guarito un uomo storpio, seduto ogni giorno presso la porta del Tempio di Gerusalemme per chiedere l’elemosina. Ancora stupito per il miracolo avvenuto, il popolo accorre verso Pietro al portico di Salomone (At 3,11). Tale portico era costituito da una fila di colonnati che circondava la spianata del Tempio sul fianco orientale. L’apostolo Pietro annuncia ai presenti la forza dirompente del Kerygma: “Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni. E per la fede riposta in lui, il nome di Gesù ha dato vigore a quest’uomo che voi vedete e conoscete; la fede che viene da lui ha dato a quest’uomo la perfetta guarigione alla presenza di tutti voi”.  Anche in queste ore una straordinaria folla di credenti e non credenti sta accorrendo verso Francesco attraversando anch’essa una fila di colonnati che abbraccia l’intera piazza, come il portico di Salomone, per ascoltare l’eco dell’annuncio pasquale risuonato nel Messaggio Urbi et Orbi del 20 aprile 2025: “Cristo è risorto! In questo annuncio è racchiuso tutto il senso della nostra esistenza, che non è fatta per la morte ma per la vita. La Pasqua è la festa della vita! Dio ci ha creati per la vita e vuole che l’umanità risorga! Ai suoi occhi ogni vita è preziosa… Il Signore ora vive per sempre e ci infonde la certezza che anche noi siamo chiamati a partecipare alla vita che non conosce tramonto”.

La morte ci trovi vivi

Questo scriveva Francesco in quel Messaggio, a mio parere consapevole di essere lui stesso al tramonto della vita, attraversato dagli stessi pensieri di Gesù in prossimità della sua passione e morte: “Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 3,1). Così anche Francesco: sentendo di essere alla fine, non si è risparmiato sino all’ultimo, insegnando come spenderci per gli altri, in ogni modo e momento. Ci ha insegnato soprattutto a morire nella fede nel Signore risorto. Scriveva nel commento alla XII Stazione della Via Crucis del Venerdì Santo ultimo: “A noi, Gesù, che spesso ti guardiamo ancora da lontano, concedi di vivere nella memoria di te, perché un giorno, quando verrai, anche la morte ci trovi vivi”.  Alla luce di questo suo intimo pensiero, comprendiamo il perché della tenacia delle sue ultime uscite: nella Basilica di san Pietro per salutare alcuni pellegrini, al Carcere di Rebibbia per incontrare per l’ultima volta i detenuti, sulla Loggia della Benedizione Urbi et Orbi, in piazza san Pietro per salutare i fedeli. Speravamo tutti in un discreto miglioramento della sua salute, mentre Lui desiderava solo rivolgere a chiunque il suo ultimo abbraccio paterno. Come prossimo ad una partenza. Un Addio. Concludeva in anticipo per sé stesso il Giubileo della speranza nel giorno più bello della fede, la Pasqua di Cristo, fondamento della speranza cristiana.

 

Vescovo e popolo

La presenza di Francesco il giorno di Pasqua è davvero iconica, perché ci consegna la preziosa chiave di lettura di tutto il suo ministero pastorale, iniziato esattamente con queste parole: “E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo…prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo” (Primo saluto del Santo Padre Francesco, 13 marzo 2013). Francesco ha testimoniato con la vita questo legame forte tra il Pastore e il Popolo. Ai Vescovi italiani affermava: “Essere Pastori significa assumere fino in fondo la responsabilità di camminare innanzi al gregge, sciolti da pesi che intralciano la sana celerità apostolica, e senza tentennamenti nella guida, per rendere riconoscibile la nostra voce sia da quanti hanno abbracciato la fede, sia da coloro che ancora «non sono di questo ovile» (Gv 10,16). Essere Pastori vuol dire anche disporsi a camminare in mezzo e dietro al gregge: capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di sostenere il passo di chi teme di non farcela” (23 maggio 2013). Papa Francesco è stato Pastore in mezzo alla gente sino alla fine, fino all’estremo dono di sé.  Ha desiderato presentarsi ai fedeli come per annusare per l’ultima volta l’odore delle pecore. Nell’atto di donarsi al Signore con la morte che sentiva imminente, ha voluto impregnare la sua anima di quell’odore del gregge per farsi subito riconoscere dal Buon Pastore, trascinandosi dietro con quell’odore l’intera umanità e portarla con sé al cospetto di Dio.

Innamorato di una Chiesa povera per i poveri

Sognatore di una Chiesa disarmata, umile, “ospedale da campo”. Una Chiesa in uscita, prima di tutto da se stessa. E’ ciò che Dio aveva chiesto ad Abramo, uomo senza speranze per l’impossibilità di un erede e di una sua discendenza: Esci…! Esci cioè da te stesso, dai tuoi lamenti, dalla tua depressione, dalla tua delusione, esci dai tuoi lutti, esci dai tuoi culti pagani, esci dai tuoi rimorsi e fallimenti umani. La capacità di uscire, sulla forza di una parola inattesa detta da Dio, farà di Abramo il modello della fede e della speranza. Francesco ha spinto la Chiesa ad uscire da se stessa, da ogni forma di mondanità spirituale che genera ipocrisia, dalla tentazione dell’autoreferenzialità che isola, dalla deformazione di sé per la tentazione del clericalismo. Sognava una Chiesa piuttosto accogliente, smaschilizzata, plasmata nella sua natura comunionale dalla sinodalità, garanzia di appartenenza e di partecipazione di tutti.

 

In dialogo con la fede e con le fedi altre

Ha aperto e favorito forme di dialogo all’interno della teologia cattolica per una fede più viva, più docile e meglio disposta ad una comprensione sempre nuova della propria dottrina. Non l’arroganza di una fede arroccata sulla difensiva, una fede chiusa in rigidi schemi normativi e dogmatici inalterabili, ma capace di svelare possibili nuove comprensioni della verità che non cambiano né tradiscono la dottrina, ma rendono ragione di ulteriori possibili conoscenze grazie al discernimento secondo lo Spirito. Papa Francesco ha sviluppato anche una relazione sorprendente con altre fedi religiose, in un atteggiamento di umile ascolto, con lo sforzo di giungere a dichiarazioni congiunte su questioni trasversali che riguardano la salvaguardia dell’umanità. Sentinella di pace, custode della dignità umana, difensore degli ultimi, decisamente contro la cultura dello scarto e dell’economia che uccide. Ha riproposto la questione ambientale in una visione integrale e integrata delle relazioni tra gli uomini impegnati a condividere, difendere, custodire e prendersi cura della Casa Comune che comprende tutti e tutto, superando la perversa logica dell’egoismo predatorio sia tra le persone sia nel loro rapporto con il cosmo.

L’ultima sorpresa dello Spirito

Papa Francesco è stato l’uomo delle sorprese. Ci ha sorpresi con parole e gesti, a partire dalla scelta del nome Francesco, passando per la straordinaria preghiera in piena pandemia la sera del 27 marzo 2020, raccogliendo in preghiera credenti e non credenti, fino agli ultimi strappi alla convalescenza protetta, mai osservata. Eravamo abituati ai suoi fuori programma tra telefonate, visite a sorpresa, preghiera a S. Maria Maggiore, affetto e tenerezza per i detenuti, bacio dei piedi ai leader del Sud Sudan, pensiero affettuoso verso la donna dei fiori gialli. L’ultima sorpresa dello Spirito è stato il grande abbraccio di Francesco alla Chiesa e all’umanità il giorno di Pasqua, offrendo a tutti la testimonianza straordinaria di come la morte ci può trovare davvero vivi, in attesa del Risorto. Dopo aver annunciato la virtù della speranza con le belle catechesi durante le udienze del mercoledì, e dopo aver donato alla Chiesa e all’umanità la grazia del Giubileo, ora ha sciolto le vele del suo ultimo viaggio, testimoniando con la sua morte la serena certezza della speranza nella vita eterna. Possa ora intercedere dal Cielo per tutti coloro che nel suo ministero ha incontrato, amato e servito.

 

                                        + Gerardo Antonazzo

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