Cari amici,
è tempo prezioso per raccordare Cammino sinodale con il Cammino quaresimale e con il Cammino giubilare. I tre percorsi, non divergenti, si incrociano proprio nel segno della speranza, ri-animata dalla conversione del cuore per mezzo dello Spirito Santo. E’ bene non dimenticare che l’icona biblica del IV Anno del Cammino sinodale è il racconto della Pentecoste, effusione dello Spirito su Maria e gli Apostoli, riuniti insieme in preghiera nel Cenacolo. Senza la grazia dello Spirito, rischiamo di vivere come erranti della disperazione, piuttosto che pellegrini di speranza: “Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva” (1Pt 1,3). “Io credo che noi non possiamo fare altro che sperare, in questo mondo che ci pone di fronte a delle problematiche così violente e totalizzanti. La speranza non è da stupidi, ma è intelligenza. Poter trasformare quasi in maniera alchemica, col tempo e con pazienza, il piombo in oro, il dolore, la violenza, la parte in ombra del mondo esteriore e interiore in qualcosa di bello: questa è la nostra speranza.
Con le ossa rotte, ridotti in cenere
Proviamo a rileggere la sinodalità alla luce di due elementi simbolici molto espressivi: la visione delle Ossa aride raccontata dal profeta Ezechiele e il segno delle Ceneri proposto dalla liturgia quaresimale. Entrambi gli elementi parlano di fragilità, di fallimenti, delle varie forme e condizioni mortali che riguardano tanto la storia contemporanea quanto la vita personale e comunitaria. Di fronte alle sfide impegnative e provocatorie della cultura sociale, distante dalla visione cristiana se non addirittura in netta contrapposizione, ci ritroviamo con le ossa rotte e ridotti in cenere: “Il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa; mi fece passare accanto a esse da ogni parte. Vidi che erano in grandissima quantità nella distesa della valle e tutte inaridite. Mi disse: “Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?”. Io risposi: “Signore Dio, tu lo sai.
La visione biblica parla di un popolo, quello di Israele in esilio, come abbandonato alla putrefazione della sua storia e di ogni speranza. Un popolo sconfitto, smarrito e rassegnato alla propria dissoluzione. Un popolo disgregato, disperso, impotente, un popolo disarticolato, ormai sconnesso e disordinato, senza legami, senza alcuna continuità tra le sue articolazioni. Insomma un non-popolo: nel lamento dei deportati in esilio a Babilonia, le ossa inaridite sono la metafora della disperazione che corrode le radici dell’esistenza. Come vivono oggi le nostre comunità cristiane i loro legami di fraternità? Di quale speranza sono testimonianza viva? Non è forse ridotta nelle medesime condizioni la sinodalità ecclesiale e la fraternità comunitaria tra presbiteri, tra presbiteri e laici, tra laici? Di quale forma di “popolo di Dio” il mondo di oggi dovrebbe fidarsi? Le nostre comunità non somigliano forse alla distessa di “ossa aride” e ad un cumulo di “ceneri”?
Le Ceneri, quanto le ossa aride raccontate da Ezechiele, evocano la frantumazione comunitaria della fiducia nelle relazioni comunitarie, dei cammini ecclesiali. Ma anche il fallimento di false sicurezze, lo sfaldamento di progetti mai condivisi, polverizzazione di ideali solo dichiarati, sogni evaporati di fronte alla durezza granitica delle reciproche diffidenze e rivalità, malattie ecclesiali interminabili che reprimono preziose nostalgie di fraterna carità … [ Continua a Leggere ]