LA SPERANZA DEL “NUNC DIMITTIS”
Omelia per la Giornata della vita consacrata
Cassino-Chiesa Concattedrale, 2 febbraio 2025
Carissimi amici,
oggi nel Tempio di Dio i due vegliardi Simeone e Anna celebrano il giubileo della loro speranza. La gioia dei due anziani esalta una vita pienamente illuminata dall’attesa del Messia, sempre animata da una speranza indefettibile, felicemente realizzata nell’abbraccio del Bambino, fiaccola di luce e di speranza per il mondo. Pertanto, il “Nunc dimittis” di Simeone non è il lamento di una vita al tramonto delle molte delusioni, non è il “canto del cigno”, ma l’elogio della speranza cullata tra le sue braccia.
Consacrati dallo Spirito
Simeone e Anna sono ‘consacrati’ dallo Spirito: vivono e agiscono parlando del Messia e di sua Madre secondo la forza e i movimenti interiori suscitati dallo Spirito Santo. Nel vangelo risalta in primo piano l’azione dello Spirito Santo, generatore di speranza. Simeone è un uomo di speranza, “consacrato” dalla permanente presenza dello Spirito, come ripetutamente annota l’evangelista Luca: “Lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio” (cfr. Lc 2, 26-27). Oggi, avvolti nel Tempio del Signore dalla luce della Sua presenza, anche noi facciamo memoria di ogni vita consacrata, ispirata e mossa dallo Spirito. Alla consacrazione battesimale di tutti i credenti, il Signore fa seguire la chiamata di alcuni per una sequela di totale consacrazione a Lui, al servizio del Regno. I “consacrati” vivono da testimoni di un amore incondizionato in terra, profeti audaci e saldi di speranza futura. Scrive infatti l’apostolo Paolo: “Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo” (Rm 15,13).
Lo Spirito della memoria
Lo aveva promesso Gesù: “Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26). Lo Spirito Santo è la “memoria” della Chiesa. La speranza di un consacrato nasce e rinasce dalla memoria della sua autobiografia spirituale. L’azione profetica dello Spirito ravviva la memoria delle opere di Dio compiute a nostro favore e benessere. La nostra vita è intreccio tra l’iniziativa di Dio e la nostra responsabilità di creature libere. Maria è maestra e narratrice di questo processo autobiografico: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente” (Lc 1,49). Quali sono le radici, i primordi, l’aurora, le prime ispirazioni della mia consacrazione al Signore? Le radici parlano di inizi, di motivazioni, di tempi, luoghi, eventi, incontri, parole, volti, letture, testimoni. La memoria secondo lo Spirito riconduce alla forza dinamica della speranza iniziale che ha dato origine al discernimento vocazionale. Fare memoria non significa vivere di nostalgia, né rimpiangere i tempi passati come fossero “l’età dell’oro” della propria storia di consacrati. Nella tradizione biblica la memoria è l’attualizzazione della speranza in Dio che non smette di offrire un futuro di speranza. La memoria è il catalizzatore del nostro cammino, spinti in avanti dal desiderio di corrispondere alla volontà di Dio che perfeziona la nostra sequela di Cristo, e la porta a compimento.
Lo Spirito della guarigione
Dalla memoria alla guarigione dello Spirito. E’ Lui che cauterizza e cicatrizza le ferite spirituali e morali della nostra debolezza creaturale. Oggi Cristo entra nel Tempio sacro della vita come fiaccola, “luce per illuminare” le mie opacità, le mie zone d’ombra, il grigiore dell’anima, le ambiguità delle mie opere, l’inquinamento se non proprio l’avvelenamento dei miei pensieri. Lo Spirito guida il passaggio dalla memoria degli inizi all’oggi della mia storia vissuta, segnata anche delle ferite inferte dalla mia fragilità umana. Come vivo il presente della mia consacrazione al Signore nel servizio alla Chiesa che vive in Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, nella sincera fedeltà sia al ministero petrino e in comunione con il ministero episcopale del Vescovo diocesano? Voi siete chiamati a custodire e coltivare il vostro specifico carisma a favore della missione evangelizzatrice della Chiesa, ovunque siate e qualunque opera di apostolato facciate. Nella consapevolezza dei nostri limiti, l’oggi della consacrazione sempre invoca la grazia della guarigione. Non rassegniamoci alle nostre visioni miopi o strabiche. Abbiamo bisogno tutti e sempre di ripartire, rigenerare, e rimotivare la nostra fedeltà alla chiamata: “Io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Le renderò le sue vigne e trasformerò la valle di Acor in porta di speranza. Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto” (Os 2,16-17). Lo Spirito accompagni il discernimento dei nostri sogni, sostenendo i segni di debolezza e di tiepidezza nell’amore per il Signore, come anche di assuefazione rassegnata, svilita di creatività e slancio, nella missione evangelica.
Lo Spirito dell’invocazione
Come per i santi vegliardi Simeone e Anna, è sempre lo Spirito che mantiene viva e operosa nel cuore del credente la vigilanza nella venuta del Signore. Lo Spirito sostiene la pazienza dell’attesa, alimenta il desiderio struggente del Signore nella perseveranza: “Lo Spirito e la sposa dicono: Vieni! (Ap 22,17). A chi è rivolta questa invocazione? È rivolta a Cristo risorto. Infatti, sia San Paolo (cfr 1 Cor 16,22), sia la Didaché, uno scritto dei tempi apostolici, attestano che nelle riunioni liturgiche dei primi cristiani risuonava il grido “Maràna-tha!”, cioè “Vieni Signore!”. Una preghiera al Cristo perché venga. Lo Spirito Santo apre il cuore alla promessa dei “cieli nuovi e terra nuova” (Ap 21), compimento della perfetta felicità. Papa Francesco nella Bolla del Giubileo scrive: “Con Gesù al di là di questa soglia c’è la vita eterna, che consiste nella comunione piena con Dio, nella contemplazione e partecipazione del suo amore infinito. Quanto adesso viviamo nella speranza, allora lo vedremo nella realtà. Sant’Agostino in proposito scriveva: «Quando mi sarò unito a te con tutto me stesso, non esisterà per me dolore e pena dovunque. Sarà vera vita la mia vita, tutta piena di te». Cosa caratterizzerà dunque tale pienezza di comunione? L’essere felici. La felicità è la vocazione dell’essere umano, un traguardo che riguarda tutti” (Spes non confundit, 21). Se tale traguardo è certezza per tutti, per ogni consacrato sia desiderio al di sopra di ogni desiderio, pensiero al di sopra di ogni altro pensiero, promessa sicura al di sopra di ogni altra speranza.
+ Gerardo Antonazzo
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