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Il ruolo educativo della formazione nell’era digitale: il convegno a Cassino con Papa Francesco come guida

Una settimana dopo l’evento al Palazzo Badiale, il racconto di una giornata di confronto tra giornalismo, educazione e spiritualità alla luce del messaggio di Papa Francesco

Cassino, 30 maggio 2025 – Si è tenuto presso il suggestivo Palazzo Badiale un corso di formazione rivolto a giornalisti e docenti, promosso dall’Ordine dei Giornalisti del Lazio in collaborazione con la Diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, UCSI Lazio e l’Istituto Teologico Leoniano. L’iniziativa ha affrontato un tema quanto mai attuale: “Il ruolo educativo della formazione nell’era digitale alla luce del messaggio di Papa Francesco”, favorendo un confronto profondo tra informazione, educazione e responsabilità sociale.

Un incontro all’insegna della speranza
La giornata si è aperta con i saluti del moderatore, don Andrea Pantone, direttore dell’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali. Ringraziando gli enti promotori – l’Ordine dei Giornalisti del Lazio, UCSI Lazio e l’Istituto Teologico Leoniano di Anagni – don Pantone ha evidenziato il valore formativo e comunitario dell’evento, rivolgendosi con particolare gratitudine a S.E. Monsignor Gerardo Antonazzo, Vescovo della Diocesi, per il convinto sostegno all’iniziativa.
Il percorso si inserisce nel solco tracciato dalla prima edizione del 2024, dedicata all’etica della comunicazione e al diritto alla verità. In questo secondo appuntamento, che si colloca nel contesto del Giubileo della Speranza, l’attenzione si è focalizzata sulla necessità di costruire comunità attraverso parole autentiche, gesti coerenti e una comunicazione che rispecchi una responsabilità etica e spirituale.

La comunicazione come custode della speranza
Nel primo modulo, ispirato al messaggio di Papa Francesco per la 59ª Giornata delle Comunicazioni Sociali, “Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori”, Monsignor Antonazzo ha avviato una profonda riflessione sul ruolo educativo della parola (leggi qui). Ha sottolineato come la comunicazione non possa essere neutra: essa è sempre relazione, costruzione o distruzione, e in quanto tale dev’essere capace di generare fiducia, verità e fraternità.
A seguire, Igor Traboni, responsabile della comunicazione della Diocesi di Anagni-Alatri, ha proposto una lettura antropologica del ruolo dei media nella narrazione della fede. L’informazione – ha spiegato – non può limitarsi a un freddo resoconto dei fatti, ma deve saper intercettare speranze, angosce e desideri profondi delle comunità.

Educare nell’epoca della performance
Il secondo modulo, affidato al professor Simone Digennaro dell’Università di Cassino, ha esplorato le sfide educative imposte da una società sempre più orientata alla performance e alla visibilità. I giovani, immersi in un contesto digitale costantemente competitivo, si confrontano ogni giorno con aspettative irrealistiche e pressioni sociali.
Il docente ha posto l’accento sull’importanza di una formazione capace di restituire centralità alla persona, promuovendo benessere psicologico e consapevolezza critica. La comunicazione – ha
sottolineato – assume così un valore pedagogico: è “pedagogia collettiva”, luogo in cui si riflettono e si trasformano stereotipi, convenzioni e narrazioni sull’identità individuale e collettiva.

Corpo, identità e narrazione digitale
Il terzo modulo ha affrontato con decisione l’impatto dei social network nella costruzione dell’identità, in particolare tra gli adolescenti. La cultura dell’immagine, come hanno evidenziato la psichiatra Gioia Marzi e lo psicologo Silvio Palombo, impone canoni estetici e modelli relazionali che possono trasformarsi in fonte di disagio profondo, dando origine a disturbi alimentari, ansia e perdita di autostima.
È emersa l’urgenza di strategie comunicative più consapevoli, capaci di contrastare modelli tossici e restituire dignità al corpo e alla persona, soprattutto in un’epoca in cui l’apparire sembra prevalere sull’essere.

La stampa locale come motore di comunità
La giornata si è conclusa con l’intervento della giornalista Marina Testa, collaboratrice de Il Messaggero, che ha illustrato il valore della stampa locale nel rafforzare il tessuto sociale e promuovere la partecipazione civica. Il racconto dal basso – ha sottolineato – è uno strumento prezioso per costruire comunità, dare voce a chi non ne ha e alimentare il dialogo tra le generazioni.
Avrebbe dovuto affiancarla in questo modulo anche Alessio Porcu, direttore di Teleuniverso e storica voce dell’emittente televisiva locale, presente all’inizio dei lavori ma costretto ad allontanarsi per inderogabili impegni professionali. Il suo intervento è arrivato a corso concluso, sotto forma di una lettera pubblicata sul suo sito dal titolo “Le cose che non ho detto a don Andrea”, un testo dal tono confidenziale, profondo e personale.
Nel suo scritto, Porcu riflette sul ruolo del giornalista come mediatore tra fatti e coscienze, sottolineando che l’informazione, seppur corretta, può mancare di giustizia se priva di empatia. “La verità, se non è accompagnata dalla misericordia, rischia di diventare una forma di ingiustizia”, scrive Porcu, offrendo ai partecipanti del corso un contributo potente, seppur a distanza. Parole che sembrano un’estensione spontanea del convegno, inserendosi con naturalezza nello spirito dell’evento e arricchendolo di una voce capace di unire rigore giornalistico e sensibilità umana.

Conclusioni
Al termine dei lavori, è stato espresso un sentito ringraziamento a tutti i relatori e partecipanti. L’incontro ha rappresentato una significativa occasione di riflessione sul ruolo educativo della formazione e del giornalismo nella società contemporanea. Il riferimento costante al magistero di Papa Francesco ha offerto un orientamento spirituale e culturale che ha guidato i lavori con profondità e coerenza.
Il contributo di Alessio Porcu, seppur giunto a posteriori, ha saputo chiudere simbolicamente il cerchio di una giornata intensa e ispirata, lasciando un messaggio forte: che il giornalismo, come la parola, può essere strumento di verità solo se resta umanamente fedele alla relazione, all’ascolto e alla speranza.