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Finché egli venga – Omelia del vescovo Gerardo Antonazzo per la solennità del Corpus Domini (Cassino, 21 giugno – Sora, 22 giugno 2025)

FINCHÉ EGLI VENGA

Omelia per la solennità del Corpus Domini
Cassino, 21 giugno – Sora, 22 giugno 2025

 

“Fate questo in memoria di me…Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga” (1Cor 11, 24.26).

 

Cari fedeli,
la Chiesa riceve dall’antica tradizione apostolica il rito del pasto eucaristico. L’apostolo Paolo, nelle cui comunità da lui fondate si celebrava abitualmente la Cena del Signore, dichiara di aver ricevuto personalmente dal Signore quanto da lui trasmesso ai Corinzi. Nel testo notiamo come il comando di Gesù “Fate questo in memoria di me” rivela la sua ragione ultima nella dichiarazione di san Paolo finchè Egli venga. Il finchè illumina anche il perché del memoriale della Pasqua. Infatti, il pasto del Signore orienta e sostiene la comunità nel vivere il prezioso tempo dell’attesa, tempo di nostalgia del ritorno del Signore, dell’invocazione struggente: Vieni signore Gesù.

 

In piedi, e in attesa
La comunità che celebra la memoria della morte e risurrezione del Signore, è proiettata verso l’incontro definitivo con Lui. La celebrazione eucaristica assume così un duplice essenziale significato: è allo stesso tempo memoriale della Pasqua del Signore e profezia (annuncio) del suo ritorno, quale compimento della visione apocalittica: “E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova. E Colui che sedeva sul trono disse: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”. E soggiunse: “Scrivi, perché queste parole sono certe e vere”. E mi disse: “Ecco, sono compiute!” (cfr Ap 21,1-2.5-6). Tutta la creazione sarà liberata dalla corruzione e dalla morte, per estendersi nell’eternità beata (Rm 8,18-24).  Scrive sant’Ignazio di Antiochia: “Ogni mio desiderio terreno è crocifisso e non c’è più in me nessun’aspirazione per le realtà materiali, ma un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: «Vieni al Padre». Non mi diletto più di un cibo corruttibile, né dei piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio, che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di David; voglio per bevanda il suo sangue che è la carità incorruttibile” (Lettera ai Romani). E’ noto che la prima generazione cristiana sentiva in modo molto acuto il fatto di essere già negli «ultimi tempi». Questo sentimento si accompagnava a una viva attesa della seconda venuta del Signore. Le celebrazio­ni eucaristiche delle prime generazioni erano profondamen­te impregnate di un intenso clima di attesa del glorioso ritor­no del Kyrios per affermare definitivamente la signoria del Padre sulla storia. Gesù glorioso ha orientato definitivamente tutto il Creato verso la sua piena e perfetta realizzazione: “La rinnovazione del mondo è irrevocabilmente acquisita e in certo modo reale è anticipata in questo mondo: difatti la Chiesa già sulla terra è adornata di vera santità, anche se imperfetta. Tuttavia, fino a che non vi saranno i nuovi cieli e la terra nuova, nei quali la giustizia ha la sua dimora, la Chiesa peregrinante nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all’età presente, porta la figura fugace di questo mondo; essa vive tra le creature, le quali ancora gemono, sono nel travaglio del parto e sospirano la manifestazione dei figli di Dio (Lumen gentium, 48). Insegna il grande teologo Gregorio di Nissa: “Questo giorno (Pasqua) segna l’inizio di una creazione nuova. Poiché in questo giorno Dio crea un cielo nuovo e una terra nuova come afferma il profeta… In questo giorno viene creato il vero uomo ad immagine e somiglian­za di Dio” (Discorso sulla risurrezione di Cristo, 1).

 

Farmaco e guarigione
La gioiosa liturgia del Corpus Domini, così cara alla spiritualità popolare, è caratterizzata anche dal cammino processionale, i cui passi sono sostenuti dalla presenza eucaristica del Risorto: “Nella liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste, che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo” (Sacrosanctum Concilium, 8). Mentre ostentiamo lungo la via il suo Mistero, accolto nel cuore e adorato nella fede, scopriamo che è Lui a sostenere la fatica del pellegrino, a rinvigorire la nostra fiducia, a colmare le nostre solitudini, a prosciugare lacrime e delusioni. E’ Lui a risanare la corruzione del mondo e di ogni coscienza, diventando tutti “farmaco di immortalità” che guarisce ogni tristezza e apre l’esistenza al desiderio del Cielo. Per s. Ignazio d’Antiochia l’Eucaristia è un vero e proprio “farmaco” che cura la malattia del peccato e dona la vita eterna, collegando i credenti a Cristo e alla sua risurrezione. Sebbene Ignazio sia stato il primo a usare questa espressione specifica, altri Padri della Chiesa, come Origene e Cipriano, hanno riflettuto sul ruolo dell’Eucaristia nel cammino di fede e nella lotta contro il peccato, vedendola come fonte di forza spirituale. L’idea che l’Eucaristia sia un farmaco d’immortalità è legata alla concezione cristiana della partecipazione alla natura divina di Cristo, che avviene attraverso la comunione sacramentale. Questo “farmaco” è il Pane santo confezionato nella Messa dallo Spirito Santo di Dio nelle mani del sacerdote, e divenuto Corpo e Sangue vivo di Cristo Gesù; destinato ad essere mangiato dai battezzati convocati in assemblea alla celebrazione e conservato per gli invitati assenti.

 

Pellegrini, di quale speranza?
Nell’anno del Cammino giubilare, siamo provocati dalle tante, forse molte e irrisolte domande sulla speranza degli uomini del nostro tempo. Siamo abbastanza concordi sulla dimensione pellegrinante della storia; molto meno, sui significati attribuiti alla speranza. Si spera di tutto, ma poco si comprende della virtù teologale della speranza. Interpretare le nostre attese e desideri aiuta a comprendere per che cosa si vive, e soprattutto per Chi si vive. La fede celebrata nella liturgia esplicita con chiarezza l’orientamento della vita vissuta cristianamente “…nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo” (Embolismo dopo il Padre nostro). La prospettiva escatologica che viene dalla Pasqua e dall’eucaristia, si fa lettura e anima­zione profetica della storia: “La speranza è sempre spinta in avanti dalla promessa di Dio…I movimenti che cercano di trasformare la storia vengono ricompresi nel novum ultimum della speranza. La speranza cristiana susciterà quindi costantemente la “passione per ciò che è possibile” Da questo punto di vista ha sempre operato in senso rivoluzionario nella storia del pensiero delle società che ne sono state toccate” (J. Moltmann). La celebrazione eucaristica consacra il “pane dei pellegrini” a sostegno del loro cammino verso le realtà ultime: “Ecco il pane degli angeli/pane dei pellegrini/vero pane dei figli/…Buon pastore vero pane…/portaci ai beni eterni/nella terra dei viventi…/conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo/nella gioia dei tuoi santi” (Tommaso d’Aquino, Lauda Sion). Amen.

 

                            + Gerardo Antonazzo

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