FELICI COME UNA PASQUA
Omelia per la solennità di Pasqua
20 aprile 2025
Cari amici,
si nasce nel grido del pianto, si impara a vivere felici. La Pasqua ci rivela il segreto della felicità: “L’uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui, affinché fosse reso inefficace questo corpo di peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato… Consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù” (Rm 6, 6.11). Quando la felicità è attraversata dalla novità pasquale, solo allora la nostra testimonianza sarà credibile, perché farà sperimentare a chiunque la “gioia che si prova nella tranquilla certezza della speranza” (S. Agostino). Cari amici, la gioia è coestensiva alla fede cristiana, è una responsabilità che discende dall’evento pasquale e dischiude agli uomini la speranza della risurrezione, anche nelle situazioni più incredibili e umanamente impensabili, anche le più disperate. Uno scritto dello Pseudo-Crisostomo afferma: “Se Gesù ha raggiunto quelli che stavano là dove non c’è speranza, dove c’è solo disperazione, significa che ormai non esiste più alcuna situazione umana che non possa essere salvata dalle energie del Risorto! Sì, la salvezza di Gesù, Signore universale, arriva fino all’inferno, là dove apparentemente non vi è più speranza: è un altro modo per dire che la morte non è l’ultima parola, è la grande speranza della salvezza per tutto e per tutti. Con audacia possiamo dunque giungere a sperare che anche l’inferno sia svuotato, come canta la liturgia bizantina nel mattino di Pasqua: “Incontrandoti laggiù, o Cristo, l’inferno è stato amareggiato perché è stato annientato; è stato amareggiato perché è stato sconfitto […]. Dov’è, o morte, il tuo pungolo? Dov’è, o inferno, la tua vittoria (cf. 1Cor 15,55)? Cristo è risorto e tu sei stato precipitato!” (Omelia sulla Pasqua).
Non è qui
Mendicanti di speranza, non possiamo immaginare di cercare la speranza fai-da-te, ovunque e comunque. Né tantomeno possiamo confondere la speranza cristiana con l’utopia, l’illusione o l’inganno. La domanda è: dove cercare la speranza affidabile? Alle prime luci dell’alba dopo il sabato, alle donne che cercano Gesù nel sepolcro vuoto viene annunciato: “Non è qui, è risorto” (Lc 24,6). La speranza non è una dottrina, e nemmeno un insieme di promesse se non perché Colui che promette è Cristo risorto da morte. La speranza è certificata dall’affidabilità di chi la promette. Allora con coraggio dobbiamo ripartire dalle parole con le quali gli angeli del sepolcro ci invitano a cercare la speranza dove la si può trovare, non certo nei luoghi di “morte”. La domanda più sensata non è chiedersi dove o in che cosa cercare la speranza, quasi fosse un oggetto da trovare come in una caccia al tesoro che dà successo alle attese più disparate e disperate; piuttosto, dobbiamo domandarci in chi riporre la nostra speranza, trattandosi di un atto fiduciale verso qualcuno in cui credere in modo radicale, senza riserve mentali o zone grigie in cui tratteniamo qualcosa per noi per paura di sbagliare. La speranza è questione di fede, e la Pasqua scioglie ogni dubbio! La pretesa delle illusioni fai-da-te diventano tombe dei nostri stessi sogni. Non è qui….
Nella salute fisica? Non è qui.
Nell’accumulo della ricchezza? Non è qui.
Nell’egoismo a tutto campo? Non è qui.
Nella dipendenza dell’azzardo? Non è qui.
Nella schiavitù della pornografia? Non è qui.
Nell’ebbrezza dello sballo? Non è qui.
Nello stordimento dell’acool? Non è qui.
Nella soddisfazione del piacere? Non è qui.
Nel narcisismo dei mi piace? Non è qui.
Nella sfrenata ricerca di successo? Non è qui.
Nel potere che schiavizza? Non è qui.
Dimmi cosa speri…
Se la speranza che noi cerchiamo non migliora la qualità della vita e del morire, resteremo erranti disperati. Usciamo dalle tombe delle nostre delusioni, e cerchiamo il Signore risorto dove Lui fissa le possibilità di un incontro: “Che una volta almeno la nostra speranza non sia vuota, ma che sazi e di qualcosa di così buono che non potrebbe esserlo di più. Qual è allora l’oggetto della nostra speranza per cui, una volta presente, subentrando come realtà, ecco cessare la speranza? Qualcosa che deriva dalla terra, come l’oro, l’argento, l’albero, la messe, l’acqua? Niente di queste cose. Egli è, ora, la tua speranza, egli sarà, poi, il tuo bene; egli è la speranza di chi crede, egli sarà il bene di chi vede. Digli: Tu sei la mia speranza. Dici infatti giustamente ora: Tu sei la mia speranza, credi, quindi, non vedi ancora; ti si promette, non è ancora tuo. Finché abiti nel corpo, sei in esilio lontano dal Signore; sei in cammino, non ancora in patria. Egli che governa e crea la patria, si è fatto Via per condurtici, perciò, ora, digli: Tu sei la mia speranza. E che, poi? La mia sorte nella terra dei viventi. Quella che, ora, è la tua speranza, sarà, poi, la tua sorte. Sia la tua speranza sulla terra di chi muore e sarà la tua sorte nella terra di chi vive. Rivolti al Signore” (S. Agostino, Discorso 313/F). Può davvero esistere una felicità duratura su questa terra? Se Gesù è risorto in questo nostro mondo, e non in cielo, è perché la felicità che viene dall’incontro con Lui ci vuole offrire un assaggio di Cielo in terra, una pregustazione di Paradiso. La forza della speranza riempie il nostro presente, nell’attesa fiduciosa del ritorno del Signore Gesù Cristo.
… e ti dirò chi sei
E nel frattempo cosa succede? “Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio… Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!” (Rm 7,18-19.24-25). Me infelice? No, non scoraggiarti, ascolta Papa Francesco: “La felicità è la vocazione dell’essere umano, un traguardo che riguarda tutti. Ma che cos’è la felicità? Quale felicità attendiamo e desideriamo? Non un’allegria passeggera, una soddisfazione effimera che, una volta raggiunta, chiede ancora e sempre di più, in una spirale di avidità in cui l’animo umano non è mai sazio, ma sempre più vuoto. Abbiamo bisogno di una felicità che si compia definitivamente in quello che ci realizza, ovvero nell’amore, così da poter dire, già ora: «Sono amato, dunque esisto; ed esisterò per sempre nell’Amore che non delude e dal quale niente e nessuno potrà mai separarmi” (Papa Francesco, Bolla del Giubileo n. 21). Un grande teologo e maestro, J. Moltmann, scrive: “La speranza è sempre spinta in avanti dalla promessa di Dio…I movimenti che cercano di trasformare la storia vengono ricompresi nel novum ultimum della speranza. Diventano dei movimenti precursori, e pertanto anche provvisori. Le loro finalità perdono la propria rigidezza utopistica e diventano perciò finalità provvisorie, penultime e quindi modificabili. La speranza cristiana) susciterà quindi costantemente la “passione per ciò che è possibile”. Da questo punto di vista ha sempre operato in senso rivoluzionario nella storia del pensiero delle società che ne sono state toccate” (Teologia della speranza). La “speranza ultima” sognata dalla fede cristiana diventa operosa nel pensiero storico ispirato dal vangelo e si proietta sulle promesse di Dio quali fondamento della speranza nella pinea felicità della vita eterna con il Signore Gesù. E’ questa la speranza definitiva che ingloba e dà senso a tutte le altre speranze “penultime”. La speranza “ultima” va oltre la nostra immaginazione e si fa attesa: “Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce: La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello” (Ap 7, 9s.).
+ Gerardo Antonazzo
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