Lettere Cammino Sinodale / 19
DANZARE LA SPERANZA, CANTARE LA FRATERNITA’
Cari amici,
il giubileo che stiamo celebrando si declina agevolmente con il vocabolario ecclesiale della sinodalità delle Chiese che sono in Italia. Non si gioisce se non insieme, e non si cammina da pellegrini senza l’evento di un incontro. Non si fa assaporare la speranza se non camminando insieme, come i due discepoli di Emmaus (Lc 24). E’ così che il giubileo si fa danza della fraternità: “Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme! È come olio prezioso versato sul capo” (Sal 133,1-2). Se non si cammina insieme è come non partire.
Ho visto la Chiesa
Il Giubileo diocesano della speranza condiviso con circa 3500 pellegrini è stato un coro polifonico di fraternità: nomi, volti, voci, sguardi, abbracci, preghiera, sorrisi, gioia ‘allo stato puro’. Ho visto la Chiesa. Ho guardato il suo Volto: cordiale, semplice, confidenziale, bello, umile, gioioso, paziente, solidale. Negli occhi di questo popolo in cammino ho letto le molte attese, la sua generosità, il desiderio di restare uniti. La fraternità è ciò che davvero edifica il popolo di Dio, molto più della sola sinodalità studiata e programmata. Si cammina per sperare insieme, e insieme sognare ma anche costruire il futuro del nostro essere Chiesa. “Oggi in molti, troppi luoghi predomina l’indifferenza. L’indifferenza è una mentalità che tutto uniforma, tutto appiattisce. Come dice la parola stessa, elimina le differenze. È il modo in cui, a ben vedere, viene fraintesa oggi l’idea di felicità. Invece di considerarla un bene comune, qualcosa che si ottiene solo insieme agli altri, la si concepisce come un possesso privato” (A. Fabris). La speranza è nemica dell’indifferenza. Siamo chiamati a gettare ponti, come insiste a dire Papa Leone. Non è sempre facile. Lo abbiamo visto: è scomodo, inquietante, ma la fraternità è una delle parole fondanti della socializzazione della speranza.
La danza della speranza
Nella storia biblica non sempre il popolo d’Israele ha dato attuazione piena al significato del Giubileo voluto da Dio come tempo diverso, tempo di liberazione e di rinascita, di rinnovamento interiore e di guarigione delle relazioni. Il Giubileo, che esprime la natura della Chiesa come popolo di Dio in cammino, richiede di non rimanere prigionieri delle lamentele e dello scoraggiamento, ma di guardare al futuro con fiducia. La speranza, in questo contesto, non è solo un sentimento, ma una forza che guida il cammino, permettendo di affrontare le sfide e le difficoltà con coraggio e resilienza. Uno straordinario evento di partecipazione sentita, non formale né subita. Non si può sciupare un “anno di grazia del Signore”. Dirsi “pellegrini di speranza” è scoprirsi partecipi della comune professione di fede, testimoniata e resa operosa nella carità fraterna. La fraternità è il braccio operativo della speranza, un concreto modo di organizzarla e renderla possibile insieme. Lo abbiamo sperimentato nella carne e nel sangue della ricca umanità degli amici con i quali abbiamo camminato verso la tomba di Pietro: una cordata di fraternità, felici, uniti nel celebrare la gioia della speranza che salva dalla solitudine e apre alla fiducia nelle promesse di Dio, che non delude.
In ascolto di Pietro
L’incontro con Papa Leone è stato un dono sovrabbondante di consolazioni spirituali. Nella sua Catechesi ha riconsegnato la fiducia e la consolazione della guarigione: “Gesù invita il paralitico ad alzarsi, a risollevarsi dalla sua situazione cronica, e a prendere la sua barella. Quel lettuccio non va lasciato o buttato via: rappresenta il suo passato di malattia, è la sua storia. Fino a quel momento il passato lo ha bloccato; lo ha costretto a giacere come un morto. Ora è lui che può prendere quella barella e portarla dove desidera: può decidere cosa fare della sua storia! Si tratta di camminare, prendendosi la responsabilità di scegliere quale strada percorrere. E questo grazie a Gesù!”. La gioia del pellegrinaggio giubilare ha poi raggiunto il vertice della grazia spirituale con la celebrazione del mistero pasquale di Cristo, nostra speranza. Sulla Tomba dell’apostolo Pietro abbiamo professato la nostra fede. Abbiamo confessato anche noi l’amore per il Signore: “Signore, tu sai tutto. Tu sai che ti voglio bene” (cfr. Gv 21).
Una carezza per Francesco
Il ministero di Papa Francesco ha ricolmato di grazia il cammino della Chiesa: in tempo di gravi disordini e inquietudini, si è speso fino all’ultimo a favore della fraternità universale. La virtù del dialogo con le diverse religioni, la profezia della pace, la difesa della dignità integrale della persona, la custodia del creato in un’ecologia integrale, la misericordia incondizionata del Signore, sono solo alcune voci di un pontificato aperto al mondo, estroverso. Pellegrini verso la Basilica giubilare di Santa Maria Maggiore, abbiamo sostato in preghiera davanti alla tomba di papa Francesco per dirgli il nostro grazie e affidarlo all’amore misericordioso del Padre. Abbiamo invocato per lui la particolare intercessione della Beata Maria Vergine Salus Populi Romani.
Dalla grazia al grazie
Il ritorno è sempre un ricco racconto. Non è soltanto un rientrare a casa. E’ uno scambio di testimonianze che narrano la grazia che il Signore ha fatto fluire sull’intera Chiesa diocesana attraverso quanti hanno partecipato personalmente al Pellegrinaggio giubilare. Ritornare è soprattutto custodire nella memoria del cuore l’esperienza spirituale vissuta e condivisa. Ritornare è volgere lo sguardo adorante verso il Signore, e riconoscere la potenza della sua grazia infusa dallo Spirito nei nostri cuori.
Grazie al Signore, sempre capace di sorprenderci oltre i nostri programmi e pensieri, e a ricolmarci di speranza oltre ogni delusione e fatica.
Grazie al Santo Padre, il quale ci ha riservato una speciale e cordiale accoglienza. A Papa Leone ho attestato l’affetto e la filiale docilità della nostra Diocesi, la vicinanza filiale al suo delicato e impegnativo ministero petrino.
Grazie ai presbiteri e ai diaconi, che hanno fattivamente collaborato per favorire la partecipazione dei fedeli, facendosi pellegrini con loro, e con loro autentici compagni di strada.
Grazie in particolare a mons. Domenico Simeone per la fatica e la pazienza con cui ha programmato e coordinato lo svolgimento del nostro numeroso e complesso pellegrinaggio. Grazie ai Vicari zonali e a tutti coloro che in ogni comunità e a vario titolo hanno contribuito e collaborato per lo svolgimento del nostro progetto giubilare.
Grazie ai Signori Sindaci, che con la loro partecipazione hanno confermato la preziosa collaborazione tra le nostre Istituzioni, accomunate dalla responsabilità di promuovere il bene delle persone.
Grazie a tutti i pellegrini, veri protagonisti del nostro Giubileo. Avete dimostrato di essere un potente e fecondo segno di speranza per la nostra Chiesa di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo. Penso con affetto speciale ai bambini, ragazzi e giovani che con la loro testimonianza ci hanno stimolato a sognare un futuro abitato da molta speranza.
Vi sono immensamente riconoscente, e vi affido alla grazia del Signore e alla sua Parola di speranza.
Dio vi benedica tutti.
Sora, dalla Sede Vescovile, 19 giugno 2025
XIII Anno del mio Episcopato.
+ Gerardo Antonazzo
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