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“Amare da morire” – Omelia Santa Restituta

Amare da morire

Omelia per la solennità di s. Restituta

Sora, 27 maggio 2020

“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13).

Il ricordo storico si fa memoria liturgica nella preghiera della nostra comunità che conserva vivo il prezioso culto di santa Restituta, esaltandone l’esemplarità della sua testimonianza che ha fatto della “verginità” una speciale condizione di vita cristiana e del “martirio” il suo perfezionamento. Il legame e la reciproca influenza tra queste due forme della sequela di Gesù Cristo, martirio e verginità, non sono di poco conto, al pensiero di una cultura occidentale che non comprende e non apprezza facilmente né il valore della verginità del cuore né la sublime fecondità del martirio. Va subito detto che la capacità o meno di un corpo casto non risiede nel corpo in quanto tale, ma in quell’essere concretamente orientati verso Dio con la totalità del cuore.  Senza la purezza del cuore l’amore non sarà mai totale. E’ dalla sorgente intima del cuore che fluisce naturalmente tutta la vita. Nell’opera “Città di Dio” sant’Agostino insegnava che ci sono solo due leggi fondamentali e decisive: l’amore di sé fino al disprezzo di Dio e l’amore di Dio fino al disprezzo di sé. Tanto si impara a vivere per Lui quanto noi sapremo morire a noi stessi. L’amore è possibile solo a chi è giunto alla puritas cordis.

Sant’Agostino, dunque, addita l’esercizio della piena libertà del cuore (verginità) come virtù molto prossima al sacrificio del martirio. Perciò scrive: “È noto infatti ai fedeli in che ordine vengono menzionati, durante la celebrazione dei divini misteri, i nomi dei martiri e quelle delle sacre vergini” (De sancta virginitate 45,46). Lo stato della vergine, consacrata ad un amore casto e totale per Cristo, è pertanto vicino al mar­tirio anche se non vi corrisponde in tutto. Per sant’Agostino la vita cristiana perfetta consiste nella pura carità (verginità), e il martirio è esattamente l’espressione suprema di questo amore che pone Cristo al di sopra di tutti e di tut­to.

“Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1Gv 3,16).

Nella scelta della verginità c’è un fumus di martirio; in egual modo, nell’offerta sacrificale del martirio persiste un animus di amore verginale. La prospettiva del martirio cristiano risulta come preparata dalla disposizione verginale del cuore. La ragione del martirio un amore ancora più grande, irrinunciabile e irreversibile. Non un amore qualunque, non un amore a misura, ma a dismisura, intensamente grande, il più grande che ci possa essere (ἀγάπην): dare la propria vita. Non donare qualcosa, fosse anche la più preziosa, ma impegnare il bene prezioso della vita, donata non per interesse ma unicamente per (ὑπὲρ – a favore) gli amici. Non illudiamoci, tuttavia, di poter facilmente rispondere alle esigenze di una purificazione verginale del cuore, di una liberazione da ogni attaccamento morboso. Non c’è errore e illusione più grande di chi crede di poter amare senza fatica, senza l’esigenza viva di una purificazione interiore, radicale e costante.

Gesù non obbliga al martirio, ma prospetta ai suoi discepoli il vertice dell’amore supremo: amare fino al dono della vita per gli amici, se e quando questo è richiesto dalla fedeltà al vangelo. Il riferimento agli “amici” lascerebbe pensare a un sacrificio piuttosto “interessato”. Eppure, il Maestro aveva predicato l’esigenza alta dell’amore per i nemici: “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano” (Mt 5,43-44). Gesù predica l’estremismo sorprendente dell’amore incondizionato per i nemici. Nel Cenacolo Gesù insegna l’amore totale, quello che sa guardare chiunque come “amico”. Nel Giardino degli ulivi Gesù dimostra i tratti meravigliosi e commoventi con cui tratta Giuda da “amico”, non da traditore, non da nemico. Dopo aver ricevuto il suo bacio, Gesù gli rivolge poche parole: “Amico, per questo sei qui!” (Mt 26,20). L’amore verginale di Gesù è talmente grande da non fare differenze nell’offrire la vita per tutti (ὑπὲρ ὑμῶν). Chi ha imparato ad “abitare” il Cenacolo porta con sé il respiro dell’amore verginale, non contaminato da calcoli umani, da misure di favore, da impurità di risentimento, da riserve, da rancore. Educati dall’esempio di Colui che “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1), i discepoli sanno di dover amare anche loro sino alla fine, fino a testimoniare un amore da morire. Formulando una frase indeterminata, Gesù nel Cenacolo propone il vertice dell’amore a chiunque, ponendo così un principio che si estende indistintamente a tutti i suoi discepoli. È il grande comandamento dell’amore per chiedere loro la disposizione a dare la vita, la decisione di non porre limiti alla dedizione.

Papa Francesco ha voluto riconoscere e aggiungere la testimonianza provata dell’amore eroico come nuova fattispecie dell’iter di beatificazione e canonizzazione, distinta dalle fattispecie sul martirio e sull’eroicità delle virtù: “È certo che l’eroica offerta della vita, suggerita e sostenuta dalla carità, esprime una vera, piena ed esemplare imitazione di Cristo e, pertanto, è meritevole di quella ammirazione che la comunità dei fedeli è solita riservare a coloro che volontariamente hanno accettato il martirio di sangue o hanno esercitato in grado eroico le virtù cristiane”. E aggiunge: “Assomiglia parzialmente a quella del martirio perché c’è l’eroico dono di sé, fino alla morte inclusa, ma se ne differenzia perché non c’è un persecutore che vorrebbe imporre la scelta contro Cristo” (Motu proprio Maiorem hac dilectionem). A maggior ragione, questo è vero quando l’amore eroico si attua in presenza di un persecutore che vuole impedire la fedeltà irriducibile a Cristo.

La spiritualità dell’amore verginale e martiriale della vita, pur non essendo del tutto sovrapponibili, sono accomunate dalla finalità di offrire testimonianza di Cristo attraverso l’oblazione di sé quale hostia viva, secondo l’insegnamento dell’apostolo Paolo: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12,1). Tanto grande è l’amore quanta la purezza del cuore. Origene così commenta: “Sembrerà dunque che vittima vivente sacra e gradita a Dio sia particolarmente il corpo incontaminato” (Comm. in Rom 9,1). S. Ambrogio pur sapendo di proporre un modello non immediatamente imitabile, sottolinea il nesso teologico tra la verginità e il martirio. Chi non è capace di un amore grande non è disposto a soffrire, ancor meno a sacrificare la propria vita.  “Amore è «estasi», ma estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio” (Benedetto XVI, Deus caritas est, 6).

+ Gerardo Antonazzo