Un ragazzo simbolo di tutti i migranti

Nella Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato una testimonianza indimenticabile

Non posso dimenticare, e nemmeno sottacere, la giornata di ieri, domenica 14 gennaio, per la Chiesa “Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato”. La mattina, a Messa, al termine della celebrazione, il Sacerdote ha invitato un ragazzo proveniente da un Paese africano, a venire a raccontare ai presenti la sua esperienza di giovane rifugiato in Italia.

Il ragazzo, accompagnato da una persona dell’organizzazione che lo ha preso in carico, si è fatto avanti, emozionato e un po’ impacciato, ha tirato fuori dalla tasca un foglio e ha cominciato a leggere quello che aveva scritto della sua storia. La sua giovane età, il suo carattere mite e le esperienze terribili che aveva alle spalle, gli procuravano difficoltà nel parlare e nonostante la sua determinazione, ogni tanto si interrompeva per frenare le lacrime che prepotenti uscivano dai suoi occhi. La sua era una famiglia normale di quattro persone, ma un giorno la guerra sanguinaria che agitava il suo Paese, gli portò via in un sol colpo padre, madre e sorella, lasciandolo completamente solo. Una sua parente lo accolse con sé in casa per prendersene cura, ma dopo qualche tempo si ammalò e fu ricoverata in ospedale dove, dopo i dovuti accertamenti, dichiararono che aveva contratto il terribile virus dell’ebola. Fecero analisi a tutti i membri della famiglia: lui risultò ancora indenne, ma il marito ed il bambino della zia avevano già contratto il virus e i medici gli dissero che entro massimo 24 ore doveva lasciare assolutamente quella casa. Così per la seconda volta si ritrovò solo, senza casa e senza famiglia. Non faceva commenti nel raccontare le sue vicende, ma certamente i fatti parlavano da soli.

Confuso, sbandato e disorientato riuscì a partire dal suo Paese e a venire, tre anni fa, in Italia. Non ha detto nulla del viaggio né di come è arrivato, ha detto solo che ha imparato l’italiano ed ora sta studiando nell’ambito dei servizi socio-sanitari. Alla domanda su quali sogni coltiva per il suo futuro, ha risposto con sicurezza: voglio diventare qualcuno che aiuta le persone che soffrono.

Gli applausi dei presenti, commossi di fronte a tanta sofferenza e a tanto disarmante semplicità nel raccontare, hanno accolto la sua testimonianza, tenera e terribile al tempo stesso. Poi è stata letta la preghiera di Papa Francesco per i Migranti e i Rifugiati, e il Sacerdote ha detto che subito dopo sarebbe stato possibile incontrare e conoscere più da vicino il prezioso ospite della comunità.

Mentre il ragazzo parlava, avevo scattato qualche foto pensando subito di raccontare questo episodio semplice ma molto significativo e penetrante, pubblicandolo sul sito diocesano. Poi, subito mi sono avvicinata al ragazzo, l’ho salutato e ringraziato con tutto il cuore, perché mi aveva davvero toccata dentro, facendomi immedesimare nel mare di sofferenze che aveva attraversato. Gli ho chiesto se accettava che raccontassi la sua testimonianza, nel qual caso avrei avuto bisogno di sapere anche la scrittura esatta del suo nome, ma lui si è mostrato confuso e imbarazzato, non voleva essere esposto così, per quanto si trattasse di un sito online “amico”. Allora, visto che anche l’assistente riteneva che fosse meglio non forzare, l’ho subito rassicurato, naturalmente, che poteva stare tranquillo, non sarei andata contro il suo volere e dunque non avrei fatto il suo nome né pubblicato le foto né niente.

Nel resto della giornata l’esperienza continuava a tornarmi alla mente e mi interpellava, perché proprio un racconto in prima persona, fatto pure con una certa ritrosia, con l’impaccio di trovarsi davanti a tanta gente sconosciuta, un racconto vero e lacerante, esente da ogni esibizionismo, fatto di paure, sofferenze, traumi incancellabili e tentativi – da solo o con l’aiuto di altri – di riscatto e liberazione, è davvero capace di coinvolgere ogni singola persona, come ha coinvolto me. Purtroppo siamo “abituati” a considerare il fenomeno migratorio guardando ai grandi numeri: ma su quei barconi non ci sono “numeri”, bensì persone in carne ed ossa, esattamente come noi, che provano sentimenti, affetti, paure, dubbi, speranze, desideri, sogni…

E allora ho deciso di raccontarlo, ma senza il suo nome, senza il nome del suo Paese, né della chiesa dove ha parlato, e senza foto, perché questo ragazzo non resti solo il ricordo di un povero ragazzo che alla fine si è salvato, ma per me e per tanti altri, l’esempio, il simbolo di migliaia e migliaia di persone costrette dalle circostanze a vivere le stesse terribili esperienze.

Ho ripensato alle parole di Papa Francesco, che nel Messaggio per questa Giornata Mondiale ci ha consegnato «quattro verbi fondati sui principi della dottrina della Chiesa: accogliere, proteggere, promuovere e integrare» e mi è sembrato così, che in un certo senso, nel mio piccolo potevo proprio accogliere, proteggere, promuovere e integrare questo mio giovane amico/maestro, che mi ha dato tanto e per il quale mi sono proposta di pregare ogni giorno. D’altronde, le prime parole del Messaggio del Papa ci vengono a ricordare le parole del Levitico che dovremmo tutti scolpire a grandi caratteri: «Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio» (Lv 19,34).

Grazie, amico mio!

Adriana Letta

Manifesto GMMR 2018

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