Omelia Veglia diocesana di Pentecoste del 13 maggio Chiesa Madre di Cassino

Stemma Finis Terrae Mons. Gerardo Antonazzo

Dio di ogni consolazione

Veglia diocesana di Pentecoste

Cassino-Chiesa madre,

13 maggio 2016

“Vieni, santo Spirito, Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo”. Così ci invita a pregare la sequenza della Pentecoste, chiamata “aurea” per la ricchezza del pensiero, per la grande devozione, per la bellezza poetica. Ci sono diversi critici che attribuiscono il  “Veni, sancte Spiritus” a Innocenzo III, nato nel 1161. Nel testo lo Spirito è invocato come “consolatore perfetto”. Anche la preghiera del “Veni creator Spiritus” fa riferimento al beneficio della consolazione: “O dolce Consolatore (paràclitus), dono del Padre altissimo”. Nell’anno giubilare straordinario indetto da papa Francesco risulta oltremodo illuminante coniugare l’annuncio della misericordia con la rivelazione biblica della consolazione divina, perché quest’ultima è una delle espressioni più commoventi della tenerezza materna di Dio.Lui è la roccia sicura ove rifugiarsi nei momenti della grande sventura. Dio non solo dà sollievo al cuore, ma dà forza (conforto, nel senso etimologico della parola), trasforma il cuore, libera e salva. “Ti amo, Signore, mia forza, Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo; mio scudo e baluardo, mia potente salvezza” (Sal 18, 2-3).

In ogni tribolazione

Ogni storia umana è ferita da prove e delusioni. Le asperità di ogni genere possono esporre le persone ad uno stato di prostrazione e desolazione: paure, violenza, corruzione, malattie, guerre, disoccupazione, disgregazioni familiari, malavita, abusi, ludopatia, alcol, droghe…Specie per i giovani la domanda “che senso ha vivere, vale la pena esserci o non esserci?” è sempre più problematica. Si cerca una risposta, ma si trova che tutto è palude, mestizia. Si rimane sconsolati. Allora bisogna fidarsi di Dio: la sua consolazione non è solo quella mistica e religiosa. Dio dà la consolazione di cui si ha bisogno attraverso eventi e persone che incoraggiano la nostra vita, tirandola fuori dalle sabbie mobili della triste rassegnazione. Un’amicizia vera, un saggio consiglio, una buona notizia, un incontro inaspettato, una parola che dà coraggio…sono consolazioni che vengono da Dio. Si tratta di cogliere il bello e il buono dell’esistenza, non lasciandosi intristire da quel velo di malinconia che fa diventare tutto grigio: il mondo non è in bianco e nero, è pieno di colori. Dio non è insensibile alle sofferenze umane, non è indifferente alle nostre angosce; anzi: “Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione” (Os 11, 8). Dio si fa prossimo alle invocazioni dell’uomo, ascolta il suo grido, è ferito dalle sue afflizioni: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele… Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me” (cfr. Es 3, 7-10). Mosè è chiamato a svolgere essenzialmente il servizio della consolazione per quarant’anni nel deserto: è l’uomo che sa dare coraggio, che sprona, che incita. Mosè sa indicare le mete e sospinge efficacemente per raggiungerle. La sua vocazione al servizio della consolazione si qualifica sempre meglio come attenzione ai bisogni più profondi della gente, alle sue lamentele e contestazioni, non di rado rivolte anche contro il Signore che lo ha liberato dalla schiavitù egiziana. Il servizio della  consolazione è anche uno dei compiti dei profeti: “Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio….Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: Ecco il vostro Dio!” (Is 40,1.9). Abbiamo anche proclamato le stupende espressioni di San Paolo: “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione. Egli ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio” (2Cor 1, 3-7). Il valore della consolazione cristiana sta nel fatto che, a consolarci, è Dio stesso che è nostro Padre! Chi ci consola, è Gesù che ha pianto sulla tomba di Lazzaro, ed è stato “triste fino alla morte” nel Getsemani, ed è morto sulla croce dopo aver provato l’abbandono del Padre, ma risuscitando ci ha donato il perdono e la pace. Chi ci consola, è lo Spirito Santo che Gesù ha promesso e inviato dopo il suo ritorno al Padre, garantendoci la sua permanente assistenza-presenza.

Lo Spirito “paràclito”

Il verbo greco che s. Paolo utilizza per parlare della consolazione (parakaleo) è il medesimo che Gesù usa per indicare lo Spirito Santo come “paràclito (parakletos). La consolazione del discepolo non dipenderà ormai dalla presenza visibile del Figlio, ma dall’azione dello Spirito Santo nel cuore del credente: “Avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio” (Rm 8, 15-16). Lo Spirito è il consolatore che rimane con noi per sempre: nel tempo della Chiesa rende presente l’Assente, assumendo le funzioni svolte da Gesù prima della Pasqua: “Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14, 26). Ed è questo un motivo di gioiosa consolazione, confermato dalla promessa: “Non vi lascerò orfani: verrò da voi” (Gv 14,18). Per sopperire alla partenza del Rivelatore, questo secondo Paràclito assisterà i credenti nel loro compito di testimoni di Gesù in un mondo ostile (Gv 15,26-27). La consolazione dello Spirito riguarda questioni importanti della vita del cristiano, in modo speciale l’esperienza della fede, l’esercizio dell’amore e l’affidabilità della speranza. Non c’è nulla di più deprimente per il discepolo che la desolazione della fede, l’aridità del cuore e la caduta della prospettiva escatologica con lo spegnimento di ogni apertura ultraterrena. Lo Spirito è il Consolatore perchè Lui può guidare, plasmare, dare forma nuova. La sua scuola non è per raggiungere una sapienza umana: i suoi insegnamenti, i suoi suggerimenti, le sue indicazioni precise vengono da Dio e a Lui riportano. Lo Spirito insegna la sapienza vera e la conoscenza, insegna il volere del Padre, i suoi sentieri, i suoi comandamenti  che fanno vivere (Sal 24,4; 118, 124.135). Egli è un Maestro interiore capace di guidare alla verità tutta intera (Gv 16, 13), che mi rende libero nel profondo, fin nel punto di divisione dell’anima e dello spirito, dove solo Lui, che è Dio, può giungere a portare vita e risurrezione. E’ umile, come Dio, si abbassa, e si dona a me senza misura. E’ lui che rassicura e pacifica le turbolenze del cuore dando ferma certezza dell’amore assoluto del Signore, qualunque cosa accada nella vita. Dio ti ama sempre, chiunque e comunque!

 

Beati gli afflitti, saranno consolati

Nell’anno giubilare della misericordia ci vengono riconsegnate le opere di misericordia spirituali, tra cui “consolare gli afflitti”. L’etimologia del verbo ‘consolare’ significa sostanzialmente ‘stare con uno che è solo’. L’idea è suggestiva perché tanta tristezza o dolore nasce proprio dall’essere soli e abbandonati, privi di una presenza che ti riscaldi, di una mano che ti accarezzi, di una parola che spezzi il silenzio e le lacrime. I motivi e le cause delle nostre lacrime, di solito, sono umani e terreni: un malessere, una malattia, la morte di una persona cara, un fastidio, la perdita del lavoro, le ristrettezze economiche, qualche cattiva notizia appresa dal giornale o dalla televisione, un’offesa ricevuta da un amico, uno stato di depressione, malumori e incomprensioni, maldicenze e pettegolezzi, calunnie e ingiustizie di ogni genere, violenze e minacce, separazioni familiari e litigi, dolore dei genitori di fronte a figli che prendono vie sbagliate, disperazione dei figli quando i genitori li abbandonano. Sono esperienze dure e difficili da sostenere, è come vivere la solitudine di una “notte oscura” che sembra interminabile. Di fronte a tali prove siamo chiamati a condividere le afflizioni dei nostri fratelli, per farci noi stessi strumento di quella consolazione che il Signore manda, chiedendoci di collaborare con Lui per diffondere il suo conforto. La consolazione non è commiserazione: non si tratta di compiangere l’altro per le sue sventure, ma dover fare qualcosa a suo favore per aiutarlo a redimere le sue tristezze: ”Quanta tristezza ci capita di scorgere su tanti volti che incontriamo. Quante lacrime vengono versate ad ogni istante nel mondo; una diversa dall’altra; e insieme formano come un oceano di desolazione, che invoca pietà, compassione, consolazione. Le più amare sono quelle provocate dalla malvagità umana: le lacrime di chi si è visto strappare violentemente una persona cara; lacrime di nonni, di mamme e papà, di bambini” (Papa Francesco, Veglia di preghiera 5 maggio 2016).

A questa nostra Veglia di preghiera è partecipe Maria, che oggi ricordiamo in modo speciale nelle sue apparizioni a Fatima . Gesù ci mette accanto sua Madre, colei che più di tutti è stata afflitta, ai piedi della Croce mentre il Figlio stava morendo, e che più di tutti è stata consolata nel vederlo risorto e vivo, nel vedere discendere lo Spirito Santo sui discepoli a Pentecoste, e infine quando è stata assunta nella gloria. Come nel Cenacolo con li apostoli, in attesa dello Spirito promesso, anche questa sera la Madre della misericordia prega con la Chiesa. Chiediamole di ottenere per questa nostra Chiesa diocesana l’abbondante effusione dello Spirito che è fuoco di purificazione, luce di verità, calore della sincera carità.

Gerardo Antonazzo

 

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