Omelia per l’inizio del ministero di don Nello Crescenzi

Estrazione del primo posto

Omelia per l’inizio del ministero di don Nello Crescenzi

Amministratore parrocchiale

Cassino, Parr. S. Pietro Apostolo, 22 settembre 2018

 

Il compimento della vita cristiana è l’amore, inizio e fondamento della sequela di Cristo. La preghiera della Colletta risveglia oggi questa nostra consapevolezza e responsabilità spirituale, riconoscendo che “nell’amore verso di te (Dio) e verso il prossimo”, è “posto il fondamento di tutta la Legge”. La medesima preghiera finalizza l’esercizio dell’amore al suo scopo ultimo e finale traguardo: “…meritiamo di entrare nella vita eterna”. Solo con l’amore potremo partecipare alla vita divina, eterna.

Caro don Nello, la centralità del comandamento dell’amore permette anche di dare compiutezza e significato pieno al ministero pastorale del presbitero e alla sua condizione di vita celibataria. La fedeltà del pastore, posto a capo dei beni spirituale del Signore quale fedele amministratore e dispensatore, è premiata dall’elogio del padrone e ricompensata con il premio della partecipazione del servo alla gioia del padrone: “Bene, servo buono e fedele…prendi parte alla gioia del tuo padrone” (cfr. Mt 25,23). E’ nel segno di questa fedeltà e obbedienza all’amoris officium, al “dovere di amore” (S. Agostino, In Ioannis Evangelium, 123, 5), che oggi la Chiesa, nella persona del tuo Vescovo, ti chiede di allargare e di estendere la tua carità pastorale e il tuo amore per i fratelli anche a questa amata comunità di s. Pietro Apostolo. Ti chiedo di svolgere il tuo zelo pastorale in fraterna e sacerdotale amicizia con il carissimo don Tomas, che ringrazio per quanto ha compiuto sin dall’inizio della sua presenza in parrocchia, e soprattutto in questi ultimi mesi.

Se dunque l’amore è fondamento della vita di ogni discepolo, perché suo elemento distintivo e qualificante, a maggior ragione lo è  per il ministero del presbitero e per la sua condizione celibataria. Esso tra la sua ragione e forza solo da un amore totalmente rivolto a Dio e alla porzione del popolo di Dio a voi affidata. Non parlo di un amore astratto, disincarnato, facilmente manipolabile a nostro piacimento. Non di un amore senza passione, senza slanci, senza concretezza, senza relazioni significative e costruttive; nulla di tutto questo. Ancora meno può trattarsi di un amore narcisistico, mondano, da copertina, malato di gratificazione e di compiacimenti. Il ministero sacro deve parlare di un amore verginale, puro, incarnato, disnteressato perché senza tornaconti; deve essere concreto, visibile, tangibile, prossimo, soprattutto profetico perché capace di dimostrare un’esistenza generosa, spesa per la vera felicità degli altri, a interessi zero!

Inoltre, il primato del vero amore nel ministero sacro non ci fa diventre “primi”, ma servi, cioè  “ultimi”. I discepoli restano sconvolti e spiazzati nell’ascoltare Gesù durante il cammino verso Gerusalemme, lungo una strada che somiglia ad una via crusis: Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”. Ma i discorsi tra di loro era stati ben diversi: “Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande”. La disputa dei discepoli sembra sorprendente, addirittura fuori luogo, dunque scandalosa. Esplodono le ambizioni: discutono fino a litigare ad alta voce per definire una gerarchia interna, i rispettivi ruoli, le possibili posizioni di potere e di prestigio. Quale abisso tra i due ragionamenti, quanta distanza tra la logica di Cristo e i calcoli umani, troppo umani, degli apostoli. Tale asimmetria di pensiero rivela una profonda distanza, segnalata dall’acuta osservazione dell’evangelista: “Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo”. I discepoli non comprendono, o piuttosto non riconoscono (gr. agnoeo) questa parola che è stata annunciata loro. Più precisamente: non si riconoscono affatto nelle parole del Maestro considerate disastrose; non intendono dargli alcuna importanza nel tentativo di farle passare inosservate, e farle cadere nel vuoto. Per questo non interrogano Gesù, temendo che egli precisi loro ciò che sospettano e temono. Il rischio di dover condividere il suo destino di sofferenza li destabilizza e li disorienta, gettandoli nello smarrimento e nella paura per il loro futuro. Ma il Signore non recalcitra, anzi insiste sul capovolgimento paradossale delle comuni aspirazioni ad occupare il rango più alto possibile. E’ la tentazione della mondanità spirituale denunciata spesso dal Papa, un virus che debilita la sequela di Cristo e il servizio al suo Regno. Mentre smaschera ogni tentazione di potere e di prestigio, il “medico” Gesù somministra l’antibiotico adatto per debellare nel discepolo ogni attacco virale: Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti (Mc 9,35). Gesù rivolge una severa lezione sulla vera grandezza. Mentre mette in risalto l’aspetto libero (Se uno vuole….) della scelta che i discepoli devono fare, non scende a trattativa o a compromessi. Per essere il primo secondo la logica del Regno di Dio e della missione al suo servizio, bisogna agire come “l’ultimo di tutti e il servitore di tutti” (v. 35). Il bambino che Gesù prende tra le braccia gli permette di relativizzare ogni ambizione dei discepoli.

Ed è proprio la passione dell’ambizione che anche l’apostolo Giacomo desidera denunciare e debellare. La comunità cristiana è dilaniata dalle divisioni: “Non è questa la sapienza che viene dall’alto: è terrestre, materiale, diabolica; perché dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni” (Gc 3, 15-16). Anche nelle parrocchie, come nei singoli gruppi, non di rado si discute e si litiga soprattutto per la stessa ragione: il protagonismo. L’ambizione la fa spesso da padrona, e fa terra bruciata verso chiunque rappresenti una minaccia al proprio prestigio. Gli stessi organismi di corresponsabilità e partecipazione faticano a decollare nello stile dell’autentica comunione. I servizi pastorali che vengono svolti spesso si configurano più come coltivazione di orticelli a conduzione privata, che costruzione di un progetto comunitario. La bramosia del protagonismo porta ad occupare spazi, ma non fa crescere gli altri: “Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra?” (Gc 4, 1). La logica deleteria dell’orgoglio disgrega, mentre “la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti” (Gc 3,17). E questa la sapienza che ci educa ad agire da “ultimi” al servizio per gli ultimi. E’ la sapienza evangelica del servizio che ha guidato s. Giovanni Bosco nella sua colossale opera educativa, soprattutto nella formazione umana e cristiana della gioventù scartata dalla società di  allora, come quella di oggi.

Carissimo don Nello, il presbitero non ha la sintesi di tutti i carismi, ma il carisma della sintesi: è questo il carisma con cui il pastore favorisce la partecipazione di tutti e la comunione fra tutti. E’ tutto qui il significato autentico della sinodalità ecclesiale anche nella vita di una comunità parrocchiale: partecipazione e comunione fraterna, a partire dall’ascolto di Dio e dei fratelli. Scrive il teologo H. De Lubac: “L’edificio della Chiesa crolla se Gesù Cristo non ne è l’Architetto, e se il suo Spirito non è il cemento che tiene insieme le pietre vive con cui è costruito” (Meditazione sulla Chiesa, Milano 1993, 147-148).

Maria, la nostra cara madre della Fiducia, ti dia consolazione interiore e  intelligenza pastorale per costruire l’edificio di Dio con le anime a te affidate.

+ Gerardo Antonazzo

Categorie: Diocesi,Documenti e Omelie

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