Omelia per la solennità di s. Restituta – Sora, 27 maggio 2019

Il fascino del martirio

Omelia per la solennità di s. Restituta

 Sora, 27 maggio 2019

Il martirio di santa Restituta ci interpella su una triplice, affascinante sfida: una dal sapore squisitamente spirituale, una seconda di natura missionaria, la terza di connotazione più culturale. La sfida spirituale abbraccia logica della Pasqua; la provocazione missionaria incrocia l’appello per una “Chiesa in uscita”; infine, il coraggio del martirio sprigiona il profumo, come di rosa mai sfiorita, di un’esistenza giovanile capace di investire su grandi ideali.

La scommessa spirituale

 La Pasqua di Cristo cambia la storia perché trasfigura il pensiero e la vita dei credenti. La Pasqua di Cristo inaugura un umanesimo nuovo, autentico e integrale, perché redento dal lievito della malizia. Quello cristiano è un umanesimo pienamente e felicemente compiuto nel segno dell’amore più grande: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13). E il cristiano non conosce che “amici”. Il “mondo” gli resta “amico” anche quando non lo accetta, o lo perseguita fino alla prova suprema del sacrificio. Gesù ci ricorda che il discepolo è e deve restare “nel mondo”, ma secondo uno stile di pensiero e di vita che non è quello “del mondo”. Il conflitto tra i discepoli e il mondo non deve “scandalizzare”. Il discepolo sa bene di non essere abbandonato a sé stesso: grazie al dono dello Spirito riceve la capacità di rispondere della rivelazione di Gesù in un mondo che gli si rivela decisamente ostile. Il martirio si comprende e si giustifica a partire da un orizzonte di pensiero illuminato dall’insegnamento rivoluzionario del Cenacolo: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12,24-25). È la piccolezza feconda del seme che assicura al terreno la possibilità di essere produttivo. Con il suo martirio Restituta si lascia “cadere”, finire, fallire, marcire, morire, non per ignavia o per accidia, ma per amore di Cristo e per i fratelli pagani di Sora. Il martire guarda al mondo come al terreno giusto nel quale lasciarsi sotterrare, pur di amare fino a “morire”, nella certezza di sacrificare il meglio di sé per contaminare cristianamente la vita degli altri: “I cristiani vivono come stranieri tra le cose che si corrompono, aspettando l’incorruttibilità nei cieli …I cristiani maltrattati, ogni giorno più si moltiplicano. Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare” (Lettera a Diogneto, VI, 8-10).

Il fascino della missione

 Il martirio di s. Restituta risponde all’appello del pontificato di Papa Francesco per una “Chiesa in uscita” e attualizza per noi una domanda cruciale: fino a che punto un discepolo del Signore si deve spingere e in che misura deve osare nel testimoniare la sua fede? Questo è particolarmente provocatorio per la nostra Chiesa diocesana che si prepara in questi mesi a ricevere la grazia della Visita Pastorale di Gesù risorto, buon pastore. La missione è di ogni battezzato: “Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù; non diciamo più che siamo “discepoli” e “missionari”, ma che siamo sempre “discepoli-missionari”. Se non siamo convinti, guardiamo ai primi discepoli, che immediatamente dopo aver conosciuto lo sguardo di Gesù, andavano a proclamarlo pieni di gioia: «Abbiamo incontrato il Messia» (Gv 1,41)” (Evangelii gaudium,120). La celebrazione liturgica odierna ci consegna lo zelo di questa giovane donna romana, martirizzata secondo la tradizione agiografica il 27 maggio del 275 d.C. Qualunque sia il fondamento storico circa le notizie biografiche che la riguardano, Restituta viene a Sora con l’intento di evangelizzare la Città. Oggi forse non saremmo disposti come operatori pastorali a lasciarci inviare da una parrocchia ad un’altra comunità con maggiori difficoltà di evangelizzazione! Le stesse comunità cristiane si squalificano nel momento in cui non riconoscono le ragioni evangelizzatrici dell’avvicendamento pastorale degli stessi sacerdoti da una parrocchia ad un’altra. Non di rado ci soffoca gelosia e protagonismo di facciata, orgoglio per una pastorale autoreferenziale, diabolica anticamera dell’estinzione della fede: “Se un regno è diviso in sé stesso, quel regno non potrà restare in piedi” (Mc 3,24). Se a noi la scelta missionaria di santa Restituta sembra oggi impensabile e irripetibile, forse è perché non abbiamo ancora elaborato e metabolizzato la forma evangelizzatrice propria dell’esperienza cristiana non solo ad gentes, ma anche intra gentes, cioè tra il nostro popolo convertito da secoli. La missionarietà di s. Restituta manifesta lo slancio della fede e la sua genuina generosità, profumata come di rosa, di una cristiana carità verso i pagani di allora, come di oggi. La sua è una testimonianza dirompente del Vangelo, della novità generativa e della gioia che esso porta nella vita quando è realmente abbracciato e accolto. Nella sua giovinezza trova tempo per Dio e il suo cuore è rivolto alla speranza celeste. Toccata dallo Spirito, Restituta irradia grazia divina. Spinta dalla gratitudine per la gioia soprannaturale che la ricolma, entra ancora oggi nelle case di Sora, nelle sue pubbliche istituzioni e civiche organizzazioni, come anche nelle nostre comunità cristiane, con la forza disarmante di una donna giovane la cui fede è impregnata e impreziosita dal sangue. Restituta riconosce con un intuito spirituale molto fine il prezioso tesoro della sapienza della fede, e si affretta a fare un ottimo affare: quello di dare a tutti gratuitamente quello che ha ricevuto, la gioia di conoscere e credere in Gesù Cristo. E indicando forme nuove e attuali di azione missionaria e di evangelizzazione, papa Francesco afferma: “I giovani sono capaci di creare nuove forme di missione, negli ambiti più diversi. Per esempio, dal momento che si muovono così bene nelle reti sociali, bisogna coinvolgerli perché le riempiano di Dio, di fraternità, di impegno” (Christus vivit, 241). L’universo digitale oggi può diventare terra di missione.

L’attrazione della fede

Il martirio di s. Restituta dimostra perché è bello vivere da cristiani, piuttosto che non esserlo. La logica sconvolgente del martirio eccita un’attrazione irresistibile: “I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione” (Evangelii Gaudium 14). Al contrario, un cristianesimo “annacquato”, vissuto in modo confuso e in un mondo confuso, non ha nulla da dire alla cultura di oggi. Un cristianesimo debole potrà avere solo discepoli mediocri: “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente” (Mt 5, 13). Il cristianesimo vissuto sino in fondo deve saper denunciare e dimostrare l’infondatezza di ogni culto pagano praticato da chi anche oggi vive nell’idolatria di un “dio” minore, inventato dalla proiezione dei bisogni umani. Il martirio stupisce, e coglie di sorpresa quanti si adattano ad una speranza “corta”, ad uso e consumo di idoli generati dai bisogni quotidiani. Il martirio della giovane Restituta annuncia una speranza affidabile, e dimostra le ragioni per le quali vale la pena vivere con Cristo ed è bello morire per Cristo. “Il cristianesimo sarà attraente per coloro che si sentono invisibili se saremo capaci di chiedere loro un po’ di eroismo. Il cristianesimo sarà attraente per coloro che si sentono inutili e invisibili solo se oseremo chiedere molto. Se noi “commercializziamo” il cristianesimo come un innocuo hobby che non impegna più di tanto, chi se ne darà pensiero?” (T. Radckliffe). Il martirio incoraggia verso scelte impegnative, radicali: “Se presentiamo la pericolosa avventura del cristianesimo, alcune persone prenderanno paura e scapperanno; altri invece si avvicineranno. Nessuno più butterà via il cristianesimo perché è una noia!” (T. Radckliffe). Il cristianesimo non è una religione che ti avvolge nella bambagia: è per i forti, convinti della debolezza della Croce come potenza di Dio che vince il mondo ostile e ribelle alla novità del Vangelo.

+ Gerardo Antonazzo

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