Omelia per la solennità di Maria, Madre di Dio

Figlio e fratello, nato da donna

Omelia per la solennità di Maria, Madre di Dio

Sora, Parrocchia s. Restituta, 1 gennaio 2019

La divina maternità di Maria dice tutto di Lei, dice il massimo dei beni che Dio poteva riservare ad una creatura a nostro favore: “Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, [ ] perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre!” (Seconda lettura). Il testo di san Paolo sottolinea l’opera di liberazione e di salvezza compiuta da Cristo, nella quale è incastonata la figura di Maria: grazie a  Lei il Figlio di Dio ha potuto venire nel mondo come uomo, figlio, vero fratello nostro. 

La filiazione di Cristo 

La maternità di Maria parla della filiazione di Cristo “primogenito tra molti fratelli” (Rm 8,29), e illumina la profondità di senso della nostra filiazione e fraternità. Lasciamoci illuminare dalla luce inesauribile di Betlemme: nell’incarnazione del Verbo è rivelato all’uomo il volto del “Figlio, nato da donna”. Non “diventa” figlio per la sua nascita umana, ma il Verbo lo è dall’eternità nel mistero della famiglia trinitaria. Gesù ha voluto “incarnare” la sua eterna relazione filiale imparando ad “obbedire” a Giuseppe, lo sposo di Maria: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo. Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso”(Lc 2,48-51). Senza mai venire meno al rapporto con il Padre nella relazione trinitaria, Gesù ha voluto dimostrare e confermare la gioia della filiazione, sia divina che umana. Nella sua “sottomissione” a Maria e a Giuseppe ci ha insegnato il valore umano della filiazione: chi non vive una felice esperienza da figlio, difficilmente e con fatica potrà comprendere la bellezza della paternità e della maternità che lo hanno generato. In questo senso, possiamo dire che figli ”si diventa” soprattutto grazie alla qualità delle relazioni familiari. Senza questo, non è possibile godere di una filiazione piena e significativa

Il comandamento dell’onore

L’esperienza della nostra filiazione la viviamo in famiglia umana. Ogni coppia desidera un figlio, e ogni figlio ha diritto ad avere dei genitori. Il quarto comandamento dell’antica Legge “Onora tuo padre e tua madre” tende non solo a sostenere il rispetto dovuto ai propri genitori, ma ravviva anche la felice ricaduta della filiazione. “Onore” traduce il significato ebraico di “peso”, e riguarda l’importanza da riconoscere al compito dell’essere genitori e, allo stesso tempo, del nostro essere figli: “Voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore” (Ef 6,4). La ragione profonda dell’onore chiesto da Dio ai genitori e ai figli è il raggiungimento della felicità promessa: “… perché tu sia felice e goda di una lunga vita sulla terra(Ef 6,3). L’amore dei genitori fa la felicità dei figli, e l’onore dei figli fa la felicità dei genitori: “Può essere facile, spesso, capire se qualcuno è cresciuto in un ambiente sano ed equilibrato. Ma altrettanto percepire se una persona viene da esperienze di abbandono o di violenza. La nostra infanzia è un po’ come un inchiostro indelebile, si esprime nei gusti, nei modi di essere, anche se alcuni tentano di nascondere le ferite delle proprie origini” (Udienza papa Francesco, 19 settembre 2018). Grazie alla condizione di figli godiamo della ricchezza dell’amore, delle premure, della custodia, degli affetti, dei sentimenti, dei valori, delle regole, degli insegnamenti dei genitori, quali ingredienti educativi portanti del processo formativo integrale di ogni soggetto umano, condizione del vero benessere e maturazione psico-spirituale della persona.

Fare famiglia 

“Colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli” (Ebr 2,11): Gesù è nostro fratello, e risana la fraternità guarendoci da ogni divisione: La tradizione evangelica indica soprattutto gli apostoli come i “fratelli” del Signore risorto: “Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: «Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (Gv 20,17). Diventare discepolo è come diventare fratello-sorella, con lui e tra di noi: “Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella (Mt 12,50). La famiglia educa alla fraternità,  educa al rispetto delle differenze, alla convivialità, alla convivenza, alla collaborazione, al servizio reciproco: “L’esperienza della famiglia ce lo insegna: tra fratelli e sorelle siamo diversi l’uno dall’altro, e non sempre andiamo d’accordo, ma c’è un legame indissolubile che ci lega e l’amore dei genitori ci aiuta a volerci bene” (Papa Francesco, Natale 2018).

Di conseguenza, la felice esperienza familiare della filiazione e della fraternità diventa profondamente generativa. E questo, sia in senso fisico-biologico del diventare padri e madri, felici di dare vita ad una nuova famiglia; sia nel senso di uno sguardo ampio sul mondo come famiglia umana di cui ci sentiamo parte, responsabili e partecipi: “Senza la fraternità che Gesù Cristo ci ha donato, i nostri sforzi per un mondo più giusto hanno il fiato corto, e anche i migliori progetti rischiano di diventare strutture senz’anima. Per questo il mio augurio di buon Natale è un augurio di fraternità. Fraternità tra persone di ogni nazione e cultura. Fraternità tra persone di idee diverse, ma capaci di rispettarsi e di ascoltare l’altro. Fraternità tra persone di diverse religioni …” (Papa Francesco, Natale 2018). La costruzione della fraternità sociale è affidata alla responsabilità di ciascuno: tutti siamo partecipi del corpo sociale nella forma della partecipazione, della collaborazione, della solidarietà, del volontariato, del servizio gratuito sostenuto da ogni forma di valido associazionismo.

La famiglia umana e la buona politica

In particolare: la fraternità sociale sposa i bisogni di ciascuno, e si impegna a rispondere nei confronti dei più poveri. La fraternità umana impegna nel dovere della giustizia, ancora prima della carità e dell’elemosina. E’ il dovere della riparazione per ciò che è stato negato, della restituzione di ciò che è dovuto. Fare giustizia è fare equità, secondo il dettame dell’art. 3 della Costituzione italiana: “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

La costruzione della fraternità umana è responsabilità anche della buona politica, secondo le indicazioni offerte da Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2019, quando richiama  le “beatitudini del politico”, proposte dal Cardinale vietnamita François-Xavier Nguyễn Vãn Thuận, morto nel 2002, che è stato un fedele testimone del Vangelo:

“Beato il politico che ha un’alta consapevolezza e una profonda coscienza del suo ruolo.
Beato il politico la cui persona rispecchia la credibilità.
Beato il politico che lavora per il bene comune e non per il proprio interesse.
Beato il politico che si mantiene fedelmente coerente.
Beato il politico che realizza l’unità.
Beato il politico che è impegnato nella realizzazione di un cambiamento radicale.
Beato il politico che sa ascoltare.
Beato il politico che non ha paura”.

Conclude il Papa: “Ne siamo certi: la buona politica è al servizio della pace; essa rispetta e promuove i diritti umani fondamentali, che sono ugualmente doveri reciproci, affinché tra le generazioni presenti e quelle future si tessa un legame di fiducia e di riconoscenza”.

                                                                                           + Gerardo Antonazzo

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