OMELIA PER LA DOMENICA DELLE PALME IN TEMPO DI FRAGILITA’

Il solenne rito di questa domenica trova protagonista la folla che accoglie in modo esultante ed esaltante l’ingresso di Cristo a Gerusalemme: “La folla, numerosissima, stese i propri mantelli … La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! … E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù…” (Mt 21).  Nessuno avrebbe sospettato che la stessa folla avrebbe lanciato il grido del Crucifige! per rifiutare con veemenza Colui che aveva accolto solo pochi giorni prima con esultante gioia. Nel cap. 20 invece san Matteo riporta il terzo annunzio che Gesù fa ai discepoli riguardo alla sua passione. La follia della folla non comprende la natura e la missione del Messia-Gesù: attende l’uomo forte, l’eroe di turno che riporterà in auge il regno politico di Israele e la sua riconquistata indipendenza dalla sottomissione romana. E quando si scoprirà delusa dalla figura di un Messia-Servo umile e sofferente, condizionata anche dalla pressione dei capi religiosi non tarderà a decidere a favore di Barabba, grazie anche all’esercizio di una perversa “democrazia diretta” che condannerà ingiustamente a morte l’Innocente.

In questo tempo difficile di contagio da Coronavirus Covi-19 tanti di noi sono tentati dall’idea di un Dio potente, invocato perciò come il deus ex machina pronto a intervenire sui nostri problemi e a risolverli. La Passione del Signore invece ci rivela il Dio che è partecipe della debolezza umana, della sofferenza e dell’angoscia di ogni uomo. Lui vive la nostra condizione di fragilità non per risolverla al posto nostro, senza di noi, indipendentemente dalla nostra partecipazione, ma per insegnarci a viverla come Lui sino in fondo, per sperare di vincerla grazie a Lui e insieme con Lui.

“La speranza cristiana in realtà non delude e non fallisce. Sperare non è convincersi che le cose andranno meglio, bensì che tutto ciò che accade ha un senso alla luce della Pasqua” (Papa Francesco, Meditazione al clero di Roma, 27 febbraio 2020).

 

L’osanna della Chiesa

Gesù cavalca un asino, non entra a cavallo, come avrebbe fatto un re o un conquistatore. L’asina rappresenta la capacità di servire, per questo motivo diventerà il simbolo di Cristo e del suo messianismo. L’asina è un “somaro”, un animale che porta la soma. Gesù dunque non si presenta come un Messia che detiene il potere, neppure come uno che aspira ad esso e usa il carro da guerra. Al contrario, con lui finisce il sistema di violenza sul quale spesso si basano i rapporti umani. Solo il perdono arresta la violenza. All’ingresso di Gesù a Gerusalemme la folla acclama l’Osanna al Figlio di Davide. La folla esalta e distrugge. Tende a mortificare la responsabilità di ciascuno, trascina e omologa. Alla folla è impedito di pensare, di decidere secondo libertà e coscienza. La folla si lascia trascinare da chi riesce a manipolare il suo pensiero, orientando la foga o lo sfogo secondo precisi obiettivi. I movimenti della folla sono volubili, spesso irrazionali: “I capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù”.

La fede della Chiesa non insegue l’opinione della folla. Ognuno partecipa come membro del corpo ecclesiale esprimendo in prima persona la propria fede, testimoniando con la vita cristiana la sequela personale di Gesù. Così l’apostolo: “Il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra … Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo?” (1Cor 12, 14.18-19). Quando rinnoviamo le promesse battesimali, la risposta a ciascuna domanda è pronunciata alla prima persona singolare. E anche quando nell’assemblea festiva recitiamo il Simbolo della fede, ognuno professa la sua fede cattolica dichiarando: Credo. L’intensità della vita cristiana è vissuta secondo la maturità spirituale e capacità di ciascuno nel penetrare la profondità del mistero Cristo e dell’intimo dialogo discepolare con Lui. Siamo Chiesa, viviamo la comunione dei santi, godiamo reciprocamente della grazia che circola nel corpo mistico di Cristo, ma nessuno può svolgere nel corpo ecclesiale la funzione di un altro, nessuno può essere sostituito nella risposta da dare a Cristo. Nel costruire la comunione facciamo Chiesa, non siamo massa.

 

Liberi, non sottomessi

Il Signore chiama a seguirlo, ma non sull’onda dell’opinione dei più. La scelta cristiana non può essere frutto di condizionamento sociale o di pressione culturale. La risposta dei discepoli è personale, e dimostra una prontezza che non è frutto di costrizione ma di entusiasmo nell’aver riconosciuto in Gesù il Messia. Gesù ha indicato le condizioni della sequela, ma senza mai soggiogare o manipolare la libertà personale. I suoi discorsi di sequela interpellano l’intelligenza di chi ascolta: “Se qualcuno vuole venire dietro a me…” (Mt 16,24; Mc 8,34). Molti credono ancora che essere cristiani significhi essere sottomessi alle proibizioni dei comandamenti di Dio. Il cristianesimo non genera schiavi, ma figli “e che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre!” (Gal 4,6). Non le opinioni della folla, della massa, della maggioranza faranno di noi delle persone libere; soltanto la conoscenza della verità rende liberi da ogni forma di sottomissione: “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi (Gv 8,31-32).

Gesù ha voluto custodire la libertà di ognuno, soprattutto nei suoi confronti. Anzi, qualcuno accecato dalle tenebre è restato libero di tornare indietro, libero di tradire, libero di abbandonare il Cenacolo per progetti esattamente contrari. Anche Gesù ha saputo conservare la sua libertà di amare Giuda: lo ha amato fino alla fine, senza impedirgli di restare accecato dalla confusione.  Poteva impedire a Giuda di compiere un gesto così grave, anche perché riguardava direttamente il Maestro, ma sceglie di rispettare la sua libertà sino in fondo, anche quando è guastata dalle tenebre di Satana, sperando fino all’ultimo che la tenerezza dell’amore del Maestro lo inducesse a ravvedersi dalla sua drammatica decisione. Per questo nel Gestemani all’arrivo dei soldati, Gesù accoglie il bacio di Giuda, sorprendendolo con la dolcezza più impensabile: Amico…. Purtroppo, non servirà nemmeno quest’ultimo messaggio di tenerezza da parte del suo Maestro.

 

Servi, non schiavi

Nella liturgia della Settimana Santa i testi biblici propongono ripetutamente i brani del profeta Isaia nei quali viene presentata la figura di un Servo sofferente, prefigurazione del Messia. Più volte Gesù ritorna sulla categoria del servo/servizio per definire la sua missione e l’identikit del discepolo: “Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mc 10,43-45). Il servizio al quale vuole educare il Maestro lo comprendiamo soprattutto nel suo gesto di lavare i piedi agli apostoli e, il giorno dopo, nel portare a compimento la sua missione nel “dare la vita in riscatto per molti”. Ciò che fa la differenza tra il servizio e la schiavitù è la scelta dell’amore. Chiamati a servire per amore, non perchè sottoposti al potere di qualcuno: “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Gal 5,13-14). Servi solo per amore, perciò servi di tutti, schiavi di nessuno.

 

Gerardo Antonazzo

 

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