Omelia per Giubileo dei malati, anziani e volontari

Stemma Finis Terrae Mons. Gerardo Antonazzo

IN RISCATTO PER TUTTI

 

Omelia per Giubileo dei malati, anziani e volontari

Basilica-Santuario di Canneto, 18 settembre 2016

Lo definirei un giubileo speciale, oltre che straordinario, quello che oggi stiamo celebrando, dal momento che papa Francesco nell’indizione dell’anno santo della misericordia ha pensato anche a “quanti per diversi motivi saranno impossibilitati a recarsi alla Porta Santa, in primo luogo gli ammalati e le persone anziane e sole, spesso in condizione di non poter uscire di casa. Per loro sarà di grande aiuto vivere la malattia e la sofferenza come esperienza di vicinanza al Signore che nel mistero della sua passione, morte e risurrezione indica la via maestra per dare senso al dolore e alla solitudine.” (Lettera a mons. R. Fisichella). Sarebbe bastato questo, e le solite pratiche spirituali richieste per tutti. Ma, grazie al generoso servizio dei volontari e degli operatori sanitari, alcuni ammalati e anziani oggi possono celebrare l’indulgenza plenaria anche attraversando fisicamente la porta santa della misericordia di questo tempio giubilare, dedicato alla Madre di Dio, la Vergine bruna di Canneto. Vi sono particolarmente grato, e spiritualmente molto vicino, consapevole che nei segni della fragilità è custodito il tesoro della potenza di Dio (1Cor 1,25).

L’uomo-Dio ha dato se stesso

L’apostolo Paolo professa la sua fede in Gesù, sulla base di un antico Credo, celebrato quale “mediatore tra Dio e gli uomini”. Essere mediatore significa mettere in relazione due o più controparti in disaccordo, per il raggiungimento di un possibile accordo pacificatore. Significa adoperarsi per la riconciliazione tra persone i cui rapporti si sono bruscamente interrotti.

Gesù si mette in mezzo fra noi e il Padre per fare pace, ricostruire l’alleanza distrutta dal peccato. In che modo Gesù ha riconciliato Dio e l’uomo? In che cosa consiste la sua opera di mediazione?

Non con parole, né con ragionamenti astratti. La sua è un’opera di “riscatto” nei confronti dell’uomo. Il termine riscatto fa pensare ad una condizione umana di prigionia, di schiavitù, di sequestro nel quale la persona è privata della sua libertà.  Ogni espressione di peccato, infatti, produce una forma di “sequestro di persona”, sottoposta al dominio del Maligno. Come nei tanti sequestri di persona che ancora accadono nel mondo, lo scopo spesso è quello di chiedere un prezzo per il riscatto del sequestrato, perché sia rilasciato libero. Anche nell’antichità, per liberare uno schiavo bisognava pagare il prezzo del riscatto. Solitamente in denaro.

Gesù Cristo paga il riscatto dell’uomo dal peccato accollandosi il prezzo del riscatto. Quale? Il prezzo più alto, cioè l’offerta della sua stessa vita. Per questo l’apostolo afferma: “ha dato se stesso in riscatto per tutti”. Gesù paga il nostro riscatto dalla schiavitù del peccato offrendo la sua vita per noi. Paga il prezzo più salato, per una redenzione universale: “per tutti”, e non solo per alcuni.

 

Le ferita del limite

 

A questo punto è spontaneo chiederci: è cambiato qualcosa nella sofferenza umana a partire dal sacrificio con il quale Cristo ci ha riscattato dal potere del peccato? L’offerta di sé in riscatto per tutti ha trasformato il senso della sofferenza, strappando all’assurdo l’esistenza ferita. Gesù introduce un nuovo significato nella condizione umana della sofferenza: quello della partecipazione alla sua Croce, quello dell’amore che continua a riscattare, liberare e salvare.

“La natura umana, ferita dal peccato, porta inscritta in sé la realtà del limite. Conosciamo l’obiezione che, soprattutto in questi tempi, viene mossa davanti a un’esistenza segnata da forti limitazioni fisiche. Si ritiene che una persona malata o disabile non possa essere felice, perché incapace di realizzare lo stile di vita imposto dalla cultura del piacere e del divertimento. Nell’epoca in cui una certa cura del corpo è divenuta mito di massa e dunque affare economico, ciò che è imperfetto deve essere oscurato, perché attenta alla felicità e alla serenità dei privilegiati e mette in crisi il modello dominante” (Papa Francesco, 12 giugno 2016).

C’è ancora oggi un’invocazione di redenzione e di trasfigurazione della condizione umana? Sì, è il grido dell’intero universo, è il grido di un dolore cosmico: “La creazione è stata sottoposta alla caducità […] nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi (Rm 8, 20-22). Ogni forma di sofferenza, se vissuta nella luminosità della fede pasquale, partecipa all’opera redentiva di Cristo. Tale partecipazione è la più grande opera di misericordia nei confronti del mondo, schiacciato sotto il peso delle sue iniquità, nefandezze e malvagità. Se il cosmo intero potrà tendere verso un fine di successo, sarà perché la sofferenza redentiva di Cristo continua nella sofferenza umana vissuta nella dinamica pasquale.

L’amore principio e fondamento

 

Nell’orazione “Colletta” di oggi riconosciamo che Dio ha posto nell’amore verso di Lui e verso il prossimo il fondamento di tutta la legge. Carissimi volontari e operatori sanitari, siete esperti di questo amore verso chi soffre. Il vostro, è un servizio svolto nella tenerezza verso l’altrui debolezza, verso chi non di rado è costretto a subire, insieme con il peso della sua sofferenza, anche  l’oltraggio dell’indifferenza, del disinteresse e dell’abbandono: “Tra le realtà più preziose della Chiesa ci siete proprio voi che ogni giorno, spesso nel silenzio e nel nascondimento, date forma e visibilità alla misericordia. Voi siete artigiani di misericordia: con le vostre mani, con i vostri occhi, con il vostro ascolto, con la vostra vicinanza, con le vostre carezze! Voi esprimete il desiderio tra i più belli nel cuore dell’uomo, quello di far sentire amata una persona che soffre” (Papa Francesco, 3 settembre 2016). Ogni uomo e donna di buona volontà è chiamato, come l’amministratore del vangelo odierno, a passare dalla scaltrezza della disonestà, che desidera trattenere tutto per sé, alla scaltrezza della misericordia con la quale si rinuncia a qualcosa per far maggiormente contenti gli altri, farseli amici. Questo apre la nostra esistenza a nuove relazioni e costruisce amicizie forti, come quella tra malati e volontari, tra malati e operatori sanitari dediti al servizio della malattia con la delicatezza del tatto umano e della carità evangelica.

La Vergine bruna di Canneto è stata la prima artigiana della misericordia quando, dopo aver accolto dall’angelo la rivelazione dell’amore straordinario di Dio per lei, “piena di grazia”, si fa subito volontaria “in uscita” verso la fragilità e i bisogni degli altri. A Nazareth, la porta della misericordia di Dio in entrata si è trasformata ben presto in porta della misericordia in uscita verso il mondo in attesa di salvezza.

 

+ Gerardo Antonazzo

 

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