Omelia Ordinazione diaconale di Mihai Giuseppe – 19 marzo 2019

svegliarsi dal sonno, custodire i sogni

Ordinazione diaconale di Mihai Giuseppe

e conferimento dell’Accolitato a Luca Consales

Sora-Chiesa Cattedrale, 19 marzo 2019

La liturgia di san Giuseppe, sposo-padre-custode, illumina in modo singolare il rito di ordinazione diaconale di Giuseppe e il conferimento del ministero dell’accolitato a Luca. La sua testimonianza è particolarmente silenziosa, perciò ancor più eloquente per la vita della Chiesa e di ogni credente. “Il silenzio di Giuseppe è abitato dalla voce di Dio e genera quell’obbedienza della fede che porta a impostare l’esistenza lasciandosi guidare dalla sua volontà” (Papa Francesco, 1° maggio 2018). L’assenza di parole attesta la profondità e la serietà di un cordiale ascolto nei confronti di Dio. Nel silenzio cresce la fede e la libertà del cuore; il silenzio è il crogiuolo purificatore del cuore, posto di fronte al mistero di Dio-Santo. Tutto della esemplarità di san Giuseppe sembra dire: nulla senza Dio, nulla diversamente dalla sua Parola.

Credere è rispondere

La vicenda personale di san Giuseppe è una trama vocazionale che parla di una speciale chiamata alla fede. Proprio come nella vicenda di Abramo, il quale “per fede, chiamato da Dio, obbedì, partendo…” (Ebr 11,8). Ogni vocazione è una intensa esperienza di fede che invita a cambiare abitudini, programmi, speranze umane, se necessario anche luoghi, per accogliere nuove condizioni ed esperienze esistenziali. Rispondere è obbedire, e l’obbedienza è il frutto dell’ascolto: Dio chiama Abramo a uscire da paure e resistenze, e progettare con Lui il proprio futuro. La vocazione è perciò un’esperienza esodale di alto profilo e di alta qualità interiore. Abramo è invitato ad uscire da se stesso, ad andare oltre se stesso, ad abbandonare la sicurezza della casa paterna e ad osare il passo nella direzione dei sogni di Dio, verso “il paese che ti farò vedere” (Gen 12,1). Dio chiede sempre di muoversi nella fiducia più radicale e nella libertà. Si tratterà per Abram di un cammino di pazienza, di un lento apprendistato che lo porterà ad esplorare lo spazio aperto della relazione con il Dio “che fa uscire” verso la sua promessa.

Credere è sognare

Quanto difficile è l’uscita da se stessi per lasciare che la vita diventi un sogno. Abramo, come anche san Giuseppe, ci dicono che non sono i nostri sogni a fare della vita un sogno, ma ciò che Dio sogna per noi! Il primo a sognare è Dio. Giuseppe è chiamato nella notte, durante il sonno; è chiamato a sposare i sogni di Dio. Nelle notte, nulla è chiaro! “Giuseppe è l’uomo che sa destarsi e alzarsi nella notte, senza scoraggiarsi sotto il peso delle difficoltà. Sa camminare al buio di certi momenti in cui non comprende fino in fondo, forte di una chiamata che lo pone davanti al mistero, dal quale accetta di lasciarsi coinvolgere e al quale si consegna senza riserve” (Papa Francesco, 1° maggio 2018). Non possiamo rischiare che i sogni di Dio e i nostri sogni si abbraccino solo in apparenza, mentre nella realtà viaggiano in parallelo, per non incontrarsi mai. Di una cosa devi essere certo, Giuseppe: i sogni di Dio non andranno mai contro i nostri desideri più autentici. A san Giuseppe, Dio non dice di essersi innamorato della donna sbagliata, né che fosse sbagliato il suo desiderio di perfezionare il matrimonio già avviato con Maria. Le parole dell’angelo spiegano che i desideri del Signore riguardano qualcosa di più grande ancora di quanto Giuseppe stesso potesse immaginare. Caro Giuseppe, se oggi si realizza un “tuo” sogno è perché tu hai sposato i pensieri di Dio. Anche per te, caro Luca, vale la stessa logica. Ogni forma di servizio a favore del popolo di Dio, come oggi è il ministero dell’Accolitato che ti viene affidato, abbraccia e incarna i piani di Dio, non i nostri sterili narcisismi e ostentazioni.

Credere è generare

La fede di Abramo guarisce la sua sterilità: “Ti ho costituito padre di molti popoli”. La fede con cui Abramo risponde alla chiamata di Dio lo renderà capace, contro ogni speranza umana, di diventare padre di una moltitudine. Anche il tuo celibato, carissimo Giuseppe, non vorrà dire mancanza di fecondità. Si rimane sterili quando manchiamo di fede, quando non rispondiamo ai sogni di Dio. Giuseppe pensava di essere fecondo nel matrimonio con Maria. Dio invece lo rende padre nell’obbedienza della fede. La vocazione che viene realmente da Dio è sempre una chiamata a diventare “padre”. La chiamata è generativa di una discendenza spirituale, perché la chiamata è sempre un servizio di paternità spirituale per coloro ai quali il Signore chiede di impegnare tutta la vita, e per sempre. E’ davvero commovente sentirsi ancora chiamare dalla nostra gente “padre”. Dobbiamo poter meritare questo appellativo generoso e familiare del popolo di Dio!

Credere è avere coraggio

San Giuseppe è capace di fidarsi, anzi impara a fidarsi grazie a Maria: si fida di lei, di ciò che lei gli racconta, per fidarsi di Dio. “Non temere!” dice l’angelo a san Giuseppe; lo dico a te caro Giuseppe. L’invito a non temere non inibisce la legittimità dei dubbi e delle paure. Anche tu hai il diritto di chiedere, come san Giuseppe, come Maria: “Come è possibile?”. Dio sceglie per la sua opera le persone e i momenti: le sue scelte sono fondamentalmente sempre “giuste”,  e non andranno certo deluse dai nostri singoli fallimenti, legati al rischio della libertà umana che Dio sempre rispetta. San Giuseppe ha il coraggio di assumersi le sue responsabilità nel custodire i beni che Dio gli affida.

Anche tu, caro Luca, con il ministero dell’Accolitato che oggi ti viene conferito, diventi custode dei tesori di Dio: la Parola e l’Eucarestia. Sono tesori inestimabili destinati ai tuoi fratelli e sorelle, in un servizio generoso e gratuito. Giuseppe e Luca, sarete “dispensatori” dei divini misteri, non padroni faziosi dei doni di Dio. Le parole dell’angelo oggi vi ricordano che: “…egli salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Dunque, non sarete voi a salvare con la vostra pur lodevole disponibilità e bravura, ma Dio attraverso di voi, non senza di voi, con la sola potenza della sua grazia affidata alle vostre mani e alla vostra fedeltà.

Gerardo Antonazzo

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