III° SEMINARIO TEOLOGICO-PASTORALE – Introduzione del Vescovo Gerardo

III° SEMINARIO TEOLOGICO-PASTORALE

 

Introduzione del Vescovo Gerardo

 

Aquino – Sala Giovenale, 25 gennaio 2016

 

E’ con vivo piacere che rivolgo a tutti voi presenti il mio cordiale saluto: è sì una parola di accoglienza e di grato benvenuto, ma è soprattutto un abbraccio spirituale con cui desidero accogliere ciascuno di voi, ringraziarvi per quello che siete e che fate per l’edificazione della comunità cristiana, e rivolgere a ciascuno una parola di incoraggiamento e di consolazione spirituale. Desidero parlare al vostro cuore di battezzati, di consacrati e di presbiteri con le parole dell’apostolo Paolo, di cui oggi celebriamo la bellezza della conversione: “Se dunque c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi” (Fil 2,1-2).       .

Se la vostra partecipazione dovesse rispondere soltanto al senso dovere o ad un gesto di cortesia e di buona educazione per l’invito ricevuto, basterebbe la sola presenza fisica; ma se la vostra adesione è impregnata dell’amore per la nostra Chiesa che vive in questa nostra singolare e irripetibile geografia umana, allora il nostro essere insieme è grazia comunione fraterna che ci permette di incontrare il mistero del Signore risorto.

A metà del nostro anno pastorale è consuetudine celebrare una sosta significativa che consente di ritornare con la mente e con il cuore alla meta pastorale dell’anno per ravvivare e rilanciare il percorso intrapreso.

La proposta tematica

 

Il Seminario teologico-pastorale riflettendo sul tema “Misericordia: architrave della Chiesa” intende scandagliare sempre più in profondità le implicanze dell’anno giubilare, valorizzando il felice incontro tra il Convegno nazionale della Chiesa italiana e il percorso giubilare dell’anno santo straordinario. Questo giustifica l’articolazione delle tre sere:

–          Prima sera: dopo la mia introduzione, ascolteremo gli interventi dei cinque delegati diocesani per il Convegno ecclesiale di Firenze. E’ interessante accogliere questa “restituzione” alla comunità diocesana delle sintesi nazionali sui cinque verbi; e infine don Antonio di Lorenzo e don Mimmo Simeone ci aiuteranno a tirare le “conclusioni pastorali” consegnate alla nostra Chiesa per il suo prossimo futuro;

–          Seconda sera: mons. Ambrogio Spreafico ci accompagnerà in una profonda riflessione sulle radici bibliche della misericordia, da cui far derivare alcune prassi di misericordia per la nostra esistenza cristiana;

–          Terza sera: mons. Nunzio Galantino ci aiuterà a riflettere sulle prospettive concrete della Chiesa a partire dall’esortazione apostolica di Papa Francesco “Evangelii gaudium”, testo di riferimento sia per il Convegno di Firenze sia per l’Anno santo straordinario della misericordia e del cammino della Chiesa di Francesco.

Ciò che piace a Dio

Nel cuore dell’anno pastorale lasciamoci interpellare dalla domanda più semplice e più provocatoria: cos’è che piace di più a Dio?

Raccontando l’evento della Creazione, l’autore biblico attribuisce a Dio il piacere per ciascuna azione da Lui compiuta: “Dio vide, ed era cosa buona”. Ma quando ha fatto l’uomo e la donna, la Bibbia dice: “Vide che questo era molto buono”. Sant’Ambrogio si domanda come mai il testo dica “molto buono”? Perché Dio è tanto contento dopo la creazione dell’uomo e della donna?

Ecco le parole di s. Ambrogio: “Ringrazio il Signore Dio nostro che ha creato un’opera così meravigliosa nella quale trovare il suo riposo. Creò il cielo, e non leggo che si sia riposato; creò la terra, e non leggo che si sia riposato; creò il sole, la luna, le stelle, e non leggo che nemmeno allora si sia riposato; ma leggo che ha creato l’uomo e che a questo punto si è riposato, avendo un essere cui rimettere i peccati”[1]. Il brano ci aiuta a comprendere perché Dio, dopo la creazione dell’uomo, può riposare. Secondo sant’Ambrogio Dio si riposa non per il fatto di aver creato l’uomo; il suo riposo consiste nella gioia di avere una creatura cui rimettere i peccati. S. Ambrogio guarda ancora più avanti verso il “riposo” di Cristo sulla croce: l’uomo è colui al quale Cristo riverserà dalla croce la pienezza della misericordia divina. Commenta Papa Francesco: “È bello questo: la gioia di Dio è perdonare, l’essere di Dio è misericordia. Per questo in quest’anno dobbiamo aprire i cuori, perché questo amore, questa gioia di Dio ci riempia tutti di questa misericordia”[2]

 

Il volto di una Chiesa Madre

Nella medesima Catechesi Papa Francesco riflette ad alta voce:“La Chiesa ha bisogno di questo momento straordinario. Non dico: è buono per la Chiesa questo momento straordinario. Dico: la Chiesa ha bisogno di questo momento straordinario. Nella nostra epoca di profondi cambiamenti, la Chiesa è chiamata ad offrire il suo contributo peculiare, rendendo visibili i segni della presenza e della vicinanza di Dio”[3].

La Chiesa manifesta il suo vero volto materno a partire dall’esercizio della misericordia. Capiamo tutti quanto questo sconvolge la logica dei nostri pensieri e giudizi nei modi di vivere i nostri rapporti; la priorità e il primato della misericordia rigenera, purifica e salva i rapporti tra il vescovo e i suoi presbiteri, tra presbiteri, tra vescovo e comunità cristiane, tra presbitero e comunità parrocchiale, tra laici.

Per questo il Papa a Firenze ha indicato alla Chiesa alcuni sentimenti per agire con misericordia materna: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”[4]. Nei sentimenti di Cristo troviamo una via tracciata per la Chiesa del nostro paese. Una Chiesa, dunque, chiamata e impegnata a presentare il proprio volto delineato in questi tre tratti: umiltà, disinteresse, beatitudine.

Il primo sentimento è l’umiltà.                                                                                                

“Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso» (Fil 2,3), dice san Paolo ai Filippesi. L’ossessione di preservare la propria gloria, la propria “dignità”, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti. Dobbiamo perseguire la gloria di Dio”.

 

Un secondo tratto è ildisinteresse.                                                                                         «Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,4), chiede ancora san Paolo. Dunque, più che il disinteresse, dobbiamo cercare la felicità di chi ci sta accanto. L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale….Qualsiasi vita si decide sulla capacità di donarsi. È lì che trascende sé stessa, che arriva ad essere feconda”.

Il terzo sentimento è la beatitudine.                                                                                                       Il cristiano è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo. Nelle beatitudini il Signore ci indica il cammino. La beatitudine ha a che fare anche con l’umiliazione e la povertà…è quella di chi conosce la ricchezza della solidarietà nel condividere anche il poco che si possiede; la beatitudine scaturisce dalla ricchezza del sacrificio quotidiano di un lavoro, a volte duro, ma svolto per amore verso le persone care; e anche quella delle proprie miserie, che tuttavia, vissute con fiducia nella provvidenza e nella misericordia di Dio Padre, alimentano la grandezza umile del peccatore perdonato e del samaritano guarito.

            Una Chiesa inquieta

 

Con i sentimenti tracciati dal Papa anche la nostra Chiesa particolare deve affrontare le sfide urgenti alle quali non può rispondere con un semplice ideale di aggiustamenti o di rinnovamento di facciata, ma con il rilancio di una vera e propria riforma. Tale riforma, spiega il Papa, “non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività. Tutto questo ci inquieta, perché destabilizza alquanto lo stile delle nostre comunità”.

Così Papa Francesco, senza mezzi termini, si è espresso di fronte ai Delegati del Convegno di Firenze: “Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”.

La Chiesa italiana si lasci portare dal soffio potente dello Spirito Santo, e per questo, a volte, inquietante. E poco prima aveva affermato: “Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo. Voi, dunque, uscite per le strade e andate ai crocicchi: tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso (cfr Mt 22,9). Soprattutto accompagnate chi è rimasto al bordo della strada, «zoppi, storpi, ciechi, sordi» (Mt 15,30). Dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo”.

“L’ho detto più di una volta e lo ripeto ancora oggi a voi: «preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti” (Evangelii gaudium, 49).

Per amore di questa Chiesa

 

Qual è il destino di questo nostro Seminario?

Per aiutare un’adeguata risposta vi affido due considerazioni di metodo che riguardano la continuità e la sinodalità. Le relazioni ascoltate sono da considerare come validi “instrumentum laboris” per il dopo-Seminario. Invito tutti voi, presbiteri e laici, a riprendere in ogni parrocchia i testi prodotti per avviare un percorso di coinvolgimento il più vasto possibile di ciascuna comunità. Le modalità sono affidate al discernimento di ciascuno.

La seconda considerazione di metodo è strettamente consequenziale alla precedente: se vogliamo avviare un processo davvero “sinodale” nella vita della nostra Chiesa diocesana, dobbiamo tutti attivarci per una sinodalità molto più diffusa perché sia davvero ecclesiale, coinvolga e includa più estesamente il popolo di Dio. La nostra sinodalità non può esaurirsi nella partecipazione di alcuni o pochi rappresentanti ad un evento diocesano per riflettere e discutere soltanto tra di loro.

I due Sinodi sulla famiglia hanno richiesto il contributo di tutto il popolo di Dio attraverso lo strumento di due questionari rivolti a tutte le diocesi del mondo. Così la sinodalità espressa durante questo nostro evento è solo germe di una sinodalità più ampia e proficua che si deve favorire nei tempi successivi all’incontro diocesano all’interno delle singole realtà comunitarie.

La stessa sinodalità del Convegno ecclesiale di Firenze è stata condivisa solo da delegati presenti; ma sono convinto che abbiamo promosso una maggiore sinodalità su verbi di Firenze nel momento in cui abbiamo reso partecipi tutti voi del lavoro svolto a Firenze. E potrà ulteriormente allargarsi se tutti voi avrete modo di riportare nelle parrocchie la ricchezza delle riflessioni maturate.

E’ in questa prospettiva che vogliamo guardare alle grandi sfide culturali del momento storico e discernere alla luce dello Spirito Santo, che sempre guida il cammino dei credenti, le linee e le prassi di riforma che devono riguardare la nostra Chiesa diocesana e ogni singola realtà ecclesiale: parrocchie, organismi di partecipazione (consigli diocesani e parrocchiali), istituzioni diocesane (uffici pastorali), aggregazioni laicali (gruppi, associazioni e movimenti).

Buon lavoro a tutti.

[1] Esamerone IX, 10, 76.

[2] Papa Francesco, Catechesi, 9 dicembre 2015.

[3] Ibidem.

[4] Fil 2,5. Paolo fa appello ai valori evangelici fondamentali, che sono l’amore, l’unità e l’umiltà. La mancanza di amore si manifesta con le rivalità, la ricerca di vanagloria e il disprezzo dell’altro. Questo è vivere in Cristo (v.5): un modo di considerare se stessi e gli altri distante mille miglia dai criteri esaltati dal mondo circostante.

Categorie: Aquino,Diocesi,Documenti,Eventi,Tutte Le Notizie

Tags: