Convegno Pastorale Diocesano -Relazione di Pierluigi e Gabriella Proietti

FARE FAMIGLIA, SACRAMENTO DELL’AMORE

(Pierluigi e Gabriella Proietti, Centro di Formazione Familiare Betania – Roma)

Uomo e donna nel libro della Genesi: istruzioni per l’uso.

I primi tre capitoli del libro della Genesi sono un concentrato di antropologia cristiana. In altre parole, in essi sono contenute tutte le “istruzioni per l’uso”: per l’uso dell’umanità, per l’uso sano della mascolinità e femminilità in ogni tempo, per l’uso della relazione di coppia, della genitorialità e delle relazioni in generale.

Giovanni Paolo II, nelle catechesi scritte sulla base delle udienze del mercoledì del periodo di tempo compreso tra il settembre 1979 e il novembre 1984, articola in modo profondo ed esaustivo questa antropologia, mostrandone tutta la potenza e la verità. In particolare sono riferite al tema della persona e della coppia le prime 23 catechesi di questo mastodontico corpus, raccolto poi in un testo dal nome “L’Amore umano nel piano divino” .

I due versetti guida per comprendere la persona come soggetto a immagine di Dio e la coppia come immagine di Dio, sono:

Gen 1, 27 “ Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” Gen 2, 18 “ Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”.

Gen 2, 23-24 “Allora l’uomo disse: è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta. Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”.

Da questi versetti si evince, in estrema sintesi:

Che uomo e donna sono entrambi “soggetti” (e non oggetti), creati a immagine di Dio, e cioè dotati di autocoscienza, libertà e capacità di amare. Che sono creati per essere alleati, “aiuto” l’uno dell’altra, nel senso ebraico profondo di “complici nel costruire il bene e alleati contro il male” della discomunione. Che la mascolinità e la femminilità secondo il progetto di Dio sono necessariamente diverse e complementari, e non contrapposte per una finalità di dominio reciproco. Che per divenire una sola carne, per essere pienamente  sposo e sposa, ’Ish e ’Isha (Gen 2,23b), per costruire un vero NOI, bisogna lavorare ogni giorno, fare dell’amore di coppia un “lavoro artigianale” (papa Francesco, discorso ai fidanzati).

Il primo figlio della coppia è la coppia

Secondo quanto indicato dalla Genesi e approfondito da Giovanni Paolo II, la coppia uomo-donna è dunque il prototipo di ogni relazione interpersonale; in essa si mostra anche la vocazione originaria della persona all’amore, che Giovanni Paolo II definisce (nel testo Persona e Atto e in molti suoi scritti e discorsi) la “norma personalistica” e che la Gaudium et Spes declina in modo esplicito al n. 24: “…. l’uomo non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé”.

Ecco perché il diventare genitori non può far sì che venga meno l’essere sposi. Come suggerisce e descrive con dovizia di particolari papa Francesco nel cap. 4 dell’Amoris Laetitia, “l’arte della buona relazione di coppia” deve essere costantemente coltivata. Il giardino dell’amore coniugale va “zappettato” SEMPRE, in tutte le fasi della vita familiare e soprattutto nelle fasi critiche comuni a tutti i matrimoni: primi anni, gravidanze, nascita dei figli, adolescenza-giovinezza-maturità dei figli, nido vuoto (AL 235).

Potremmo riassumere in cosa consiste l’arte della buona relazione di coppia in alcuni punti, semplici, ma non banali:

Stare faccia a faccia. Dialogare, rispecchiarsi reciprocamente tra coniugi, senza paura e senza pericolose omissioni, i comportamenti che creano sofferenza o lontananza e che ostacolano la buona relazione di coppia. Il momento ideale per fare questo è subito dopo aver pregato insieme, perché ciò consente che il confronto avvenga non con aggressività o violenza, non per prevaricare o per distruggere l’altro, ma in modo costruttivo, guardando al bene comune. Con questa modalità, il confronto di coppia diventa ’ezer, aiuto reciproco; ci si ritrova complici nel costruire il bene, alleati contro il male della discomunione (AL 136-141).

Praticare i “rituali” dell’amore di coppia: salutarsi “bene” quando si esce al mattino e al rientro a casa; scambiarsi messaggi e gesti affettuosi; uscire da soli periodicamente; parlare non solo di cose tecniche e organizzative ma anche di sé all’altro; dedicare uno spazio periodico alla preghiera e alla lettura comune, all’ascolto e al dialogo; creare ambienti e atmosfere accoglienti per il coniuge e per i figli; spegnere tv, computer e telefonini una sera a settimana; creare momenti di leggerezza e di divertimento in coppia e in famiglia; donarsi volentieri sessualmente al coniuge, ecc. (AL 123-130).

Tenere come punti fermi il “primato dell’unità sul conflitto” e, come arma per difendere questo primato, il perdono quotidiano, di cui parliamo più avanti.

Una condizione-chiave: “lavoro su di sé”

Nella nostra esperienza di accompagnamento di coppie, abbiamo verificato che molti problemi nascono nelle coppie di oggi a causa di alcuni fattori, esterni e interni alla coppia stessa, di cui gli sposi non si rendono conto, limitandosi a denunciare un malessere all’interno del rapporto, che spesso non sanno come gestire e come indirizzare. A volte semplicisticamente dichiarano il loro rapporto “in crisi” o “in fin di vita” e ciascuno ne dà sistematicamente la responsabilità all’altro. Ci sono alcune consapevolezze fondamentali che, se non vengono acquisite attraverso un serio lavoro su di sé, mettono in serio rischio la qualità e la durata del rapporto coniugale nel tempo:

Consapevolezza riguardante l’ambiente sociologico in cui viviamo e le spinte a cui esso ci sottopone. Viviamo tutti in un tempo di postmodernità. Questo tempo ha i suoi dogmi e i suoi tabù, a cui tutti siamo più o meno sottomessi, anche se non ce ne accorgiamo.

I dogmi di questo periodo storico possiamo, con un linguaggio corrente, rintracciarli in affermazioni di uso comune, come : MI PIACE, che privilegia il soddisfacimento del piacere immediato rispetto al raggiungimento di una felicità stabile e duratura; MI PARE, che rinuncia ad ogni verità oggettiva e si basa sulla dittatura delle opinioni, aventi tutte lo stesso valore; MI VA, che confonde l’assolutizzazione del desiderio con la libertà.

I tabù corrispondenti a questi dogmi, sono l’attesa, la rinuncia, il governo delle pulsioni, il discernimento, la fortezza, la calma, la perseveranza, la sofferenza. Se non si diventa consapevoli che ciascuno di noi e le nostre vite di coppia sono continuamente spinte da questi dogmi e da questi tabù, si rischia di divenirne completamente preda.

Consapevolezza che il matrimonio e la persona che abbiamo accanto non vanno idealizzati: il matrimonio delle favole non esiste, né esiste la famiglia del Mulino Bianco, e neanche il principe azzurro e la fatina buona. Esistono invece persone fragili, imperfette, infedeli, ferite dalla propria storia personale e familiare, dal peccato originale e dai vizi capitali propri e altrui (“Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre” – Sal 50, 5), con un grande desiderio di essere accolte e amate nella propria debolezza ma incapaci a loro volta di accogliere e amare l’altro, proprio a causa delle proprie ferite. Siamo tutti dei feriti che diventano a loro volta feritori. E questo nella vita di coppia provoca enormi sofferenze e paralisi nella relazione.

Consapevolezza che l’altro non esiste per gratificare il proprio IO narcisistico, ma esiste per se stesso; che la delusione reciproca è l’inizio del vero amore perché pone gli sposi nella realtà e non nell’illusione del sentimento romantico che forse essi pensavano essere l’amore.

“L’amore è quello che resta dopo le grandi emozioni” (Karol Woityla, La bottega dell’orefice).

Consapevolezza che ogni uomo e ogni donna nel momento in cui si uniscono, portano con sé un bagaglio ben consolidato di abitudini, convinzioni e modelli di comportamento acquisiti nelle rispettive famiglie di origine. Questi bagagli vanno assolutamente rivisitati criticamente, scegliendo cosa tenere e cosa lasciare del passato, per non replicare comportamenti distruttivi e per inaugurare la esclusività della nuova famiglia che si sta formando, la quale è altro da entrambe le famiglie di origine. “Una relazione mal vissuta con i propri genitori e fratelli, che non è mai stata sanata, riappare, e danneggia la vita coniugale. Dunque bisogna fare un percorso di liberazione che non si è mai affrontato. Quando la relazione tra i coniugi non funziona bene, prima di prendere decisioni importanti, conviene assicurarsi che ognuno abbia fatto questo cammino di cura della propria storia”. (AL 240).

Conflitti e perdono

Via via che si diventa consapevoli di tutto questo, vedendolo nella realtà della propria persona e della propria storia, si abbandonano le idealizzazioni e si fa strada un altro importantissimo primato di cui parla Papa Francesco nella Evangeli Gaudium: il primato della realtà sull’idea (EG 223).

Dopo i primi tempi, gli sposi atterrano dal matrimonio ideale al matrimonio reale. E per affrontare la realtà bisogna essere attrezzati, avere gli strumenti per riuscire a vedere che la realtà è migliore di qualsiasi sogno. Il matrimonio reale, la nostra persona reale, la persona reale del coniuge esistono e sono qui per essere goduti e donati; il sogno è appunto sogno, è inesistente, e perciò non po’ essere donato né goduto. Ma è anche vero che la realtà ci mette nel combattimento. Spesso si pensa di dover combattere contro il coniuge, individuato come responsabile e colpevole della propria infelicità e del proprio fallimento affettivo. Ma anche questo è un inganno.

Il punto di partenza indispensabile è infatti il discernimento per riconoscere quali sono i veri nemici del matrimonio: individualismo, aspettative e pretese sull’altro, desiderio di prevalere, centralità dell’IO rispetto al NOI. E tutti i comportamenti che da queste matrici derivano, declinati in vario modo e intensità.

Ecco alcuni strumenti con cui combattere questi nemici:

Prevenire i conflitti. Imparare a: ascoltare, dialogare, comunicare, stare in intimità. “Comunicare è una vera arte che si impara in tempi di calma per metterla in pratica nei momenti duri (A.L. 234).

Primato dell’unità su conflitto Il conflitto non può essere ignorato o dissimulato. Dev’essere accettato. Ma se rimaniamo intrappolati in esso, perdiamo la prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa resta frammentata. Quando ci fermiamo nella congiuntura conflittuale, perdiamo il senso dell’unità profonda della realtà.” (EG 226-230).

Puntare non alla perfezione o all’aver ragione ma alla comunione attraverso il perdono.

Perdonare il coniuge ogni giorno, molte volte al giorno (70 volte 7, cioè sempre).

Sdrammatizzare. Quando ci si conosce, ci si accetta e ci si accoglie anche nei propri limiti, si può imparare a riderne insieme con benevolenza, dando anche ai conflitti il giusto peso, senza ingigantire ogni piccolo problema, ritrovando subito la complicità e l’allegria dell’essere insieme.

Evitare di coltivare pensieri negativi di risentimento e recriminazione. Meglio dirsi anche cose spiacevoli che covare giudizi e malevolenza nei confronti dell’altro.

Vigilare e saper cogliere in tempo l’avvicinarsi delle crisi, soprattutto delle “crisi prevedibili” (AL 235)

Indissolubilità della coppia e indissolubilità della famiglia.

Come già accennato, siamo nel tempo della società liquida (Bauman) e dei legami fragili, dell’autosufficienza, dell’emozionalismo e del narcisismo (Giddens, Cantelmi). Se il legame di coppia si basa sulla ricerca illusoria e narcisistica di gratificazione del sé, è destinato a fallire, appunto a “dissolversi”. Nessuno nella società contemporanea è completamente immune da tali fenomeni e noi non possiamo ignorarlo. È evidente perciò che, in un contesto del genere, il concetto di indissolubilità non può essere inteso in senso idealistico, monolitico e statico. All’interno di un matrimonio si possono far presenti anche situazioni di sbandamento, di abbaglio, di tradimento o di allontanamento temporaneo. Anche questi eventi fanno parte della fragilità interiore di ciascuno e della precarietà e transitorietà di amori talvolta basati esclusivamente su proiezioni illusorie e meramente emozionali e sentimentali. Non dobbiamo quindi scandalizzarcene, ma piuttosto crescere tutti nella capacità di accogliere queste fragilità come tali, e accompagnarle con fiducia e con pazienza per ricondurle al bene, saper aspettare soffrendo e lavorando comunque e sempre su se stessi, dando sempre all’altro un’altra chance, senza mandare all’aria, spesso precipitosamente e con superficialità, il grande Bene costituito creando una famiglia. A questo fine ci viene in aiuto quanto il Papa afferma riguardo al primato del tempo sullo spazio (EG 222-225): “Questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone. È un invito ad assumere la tensione tra pienezza e limite, assegnando priorità al tempo

Anche l’indissolubilità dunque, se si impara a coltivare l’amore quotidiano, a privilegiare la comunione sull’aver ragione, a non pretendere la perfezione da sé stessi e dall’altro, a praticare il perdono quotidiano, è una realtà che si scopre e si costruisce via via camminando insieme: è un lavoro “artigianale”.

Una vita di coppia sana e intensa è invece garanzia anche dell’indissolubilità della famiglia.

Solo l’amore tra i coniugi crea stabilità e sicurezza nei figli, che possono strutturare con fiducia il proprio IO. Se i genitori si amano e coltivano il loro amore, il messaggio che i figli ricevono è:

“L’amore esiste. L’amore resiste. Io sono amato. Anch’io potrò amare”.

Padri e madri secondo il progetto di Dio

Quando le coppie lavorano su queste basi, anche la genitorialità si sviluppa in modo sano, sereno, gioioso, come il dono più grande per gli sposi. Anche se richiede sempre un grande impegno, molta presenza a se stessi e una enorme responsabilità: il rapporto dei nostri figli con se stessi, con la vita, con gli altri e anche con Dio, dipenderà in gran parte dai comportamenti e dalle azioni ed omissioni che noi praticheremo a partire dalla loro primissima infanzia e per tutto il corso della loro crescita. Per cui anche la genitorialità non va banalizzata né idealizzata, dando per scontato che i genitori sappiano sempre come amare e seguire al meglio i propri figli. E’ necessario tenere sempre a mente, più che mai riguardo ai nostri figli, che le catene generazionali da cui proveniamo sono piene di ferite, e che è necessaria molta presenza di spirito e molta conversione per evitare di riprodurre comportamenti a volte molto distruttivi (“… foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri” – 1 Pt 1,18). Innanzi tutto, i figli sono “AL” centro ma la coppia è “IL” centro. Lo sviluppo sano della personalità dei figli si basa su un tripode: l’amore della mamma, l’amore del papà, l’amore tra la mamma e il papà. Se manca anche una sola di queste tre gambe, il tripode non sta in piedi.

L’amore verso i figli non può e non deve sovrapporsi o sostituire l’amore verso il coniuge. Talvolta purtroppo, quando il rapporto di coppia funziona male, si assiste al fatto che l’unico vero legame indissolubile diventa quello tra genitore (soprattutto madre) e figlio. Il coniuge scomodo viene estromesso dalla intimità relazionale, mentre il figlio viene vissuto come unica sponda affettiva, creando un vincolo sostitutivo di quello coniugale, considerato poco appagante. E’ una grande aberrazione, molto frequente, che crea squilibri all’interno della famiglia e danni gravissimi per i figli, specie se maschi.

Una vita di coppia ben vissuta è invece per i figli una testimonianza incarnata di educazione al maschile e al femminile, all’intimità, alla relazione, alla fiducia e stima reciproca, alla misericordia e al perdono.

Spesso siamo tutti molto preoccupati e impegnati riguardo alla salute, agli studi, allo sport, alle esigenze materiali e sociali dei figli. E questo è giustissimo. Ma è importante anche, cosa che avviene molto più di rado e più maldestramente, occuparsi dei sentimenti dei figli. Saper cogliere, osservare e leggere ciò che vivono nelle diverse fasi della crescita. In particolare è importante insegnare loro a riconoscere e accogliere senza paura i sentimenti negativi, come il dolore o la rabbia, a saperli gestire in modo non distruttivo né per se stessi né per gli altri, e a indirizzarli invece alla verità e al bene.

A tal fine è importante aiutarsi in coppia a verificare le modalità con cui dare il necessario contenimento e le necessarie correzioni ai nostri figli; l’unità delle indicazioni educative tra madre e padre è fondamentale per non disorientare i figli su ciò che è bene o male per la loro vita e per la loro umanità. Le correzioni devono essere sempre date per il bene del figlio e non per la propria ansia o per la propria impazienza; devono sempre essere circoscritte alla singola situazione (es: questo tuo comportamento è sbagliato e non produce per te un bene) e non estese a tutto l’essere (es: sei un deficiente!); insieme alle singole correzioni vanno dati sempre incoraggiamenti e rinforzi valorizzanti e valutanti della persona e delle sue risorse (es: sono certo che la prossima volta farai meglio perché so che sei bravo e io ti stimo molto).

Quando i figli entrano nel periodo critico dell’adolescenza, si creano spesso nei genitori preoccupazioni, ansie e disorientamento. Una valida bussola può essere anche qui il primato del tempo sullo spazio. Vale a dire che a volte non è tanto importante controllare e sapere in ogni istante in quale spazio si trova il figlio, dov’è, con chi è; ma non perdere di vista a che punto si trova il processo di crescita della sua umanità.

Per poter fare questo, più che controllare, il genitore ha il compito di affiancare e vigilare con serenità, partecipando alla vita emotiva e affettiva del figlio, creando momenti di confidenza e intimità in cui il figlio possa aprirsi e sentirsi ascoltato senza pregiudizi. Gli adolescenti hanno estremo bisogno di vicinanza e rassicurazioni affettive, prima ancora che di regole ferree e di punizioni/ricompense, seppure a volte utili anch’esse. Spesso infatti sono angosciati dalla paura di deludere le aspettative dei genitori. Se sentono i genitori vicini, i ragazzi si appoggeranno a loro nel momento del bisogno o per chiedere indicazioni, perché non li temono ma li stimano e li ritengono capaci di dare sostegno e di essere un punto di riferimento saldo, amorevole e sicuro.

Una rivoluzione pastorale

Mettiamoci in ascolto della rivoluzione pastorale che sta suscitando l’Amoris Laetitia. «Per ricercare ciò che oggi il Signore chiede alla sua Chiesa dobbiamo prestare orecchio ai battiti di questo tempo, percepire l’odore degli uomini d’oggi fino a restare impregnati delle loro gioie e speranze, tristezze e angosce. A quel punto sapremo proporre, con credibilità, la buona notizia sulla famiglia» (Papa Francesco, Veglia Sinodo Famiglia 2014).

Occuparsi della realtà, occuparsene con umiltà, ascoltare prima di giudicare, sono ingredienti fondamentali per avviare un rinnovamento pastorale. Tale rinnovamento richiede che nelle parrocchie la pastorale familiare, ed in particolare la pastorale per le coppie, abbia un ruolo centrale, sia il perno su cui ruota tutta la pastorale parrocchiale.

Una pastorale per le coppie incisiva, efficace, attraente, coinvolgente: nuova. Sulle orme tracciate da Amoris Laetitia: “Oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture” (AL307).

Nella realtà ecclesiale purtroppo non è frequente l’organizzazione di percorsi specificamente destinati alle coppie dopo il matrimonio, alle coppie di conviventi e ai divorziati risposati, mentre urge.

Coppie Guida e Coppie Pilota.

Alla luce della nostra esperienza con i Percorsi formativi di Betania per le coppie, suggeriamo di curare in ogni parrocchia la preparazione di coppie guida e di coppie pilota. Per “coppie guida” si intendono  coppie che ricevono dal parroco l’incarico di animare i gruppi di coppie.

Per “coppie pilota” si intendono coppie destinate dal parroco a prendersi cura dei neo-sposi, attraverso un semplice rapporto di amicizia e prossimità. Papa Francesco al n. 230 di Amoris Laetitia suggerisce di «affidare a coppie più adulte il compito di seguire coppie più recenti del proprio vicinato, per incontrarle, seguirle nei loro inizi e proporre loro un percorso di crescita». È un accompagnamento che previene, prima di curare, ed è quello silenzioso, che sa intervenire nei tempi giusti, di coppie mature nella fede, che sono in grado di aiutare le coppie in difficoltà a come affrontare la crisi.

Non è più sufficiente lo spontaneismo pastorale.

Una pastorale familiare efficace ha bisogno di competenze, metodo e contenuti. È necessaria una equipe composta dal sacerdote, dalla Coppia Guida e da alcune coppie pilota. Una possibile proposta è caratterizzata da Incontri mensili con al centro la Parola di Dio attualizzata, il Magistero di Papa Francesco sulla famiglia, un laboratorio in cui le coppie si mettono in gioco, un confronto di coppia, un impegno da vivere nel mese, una condivisione generale, la preghiera finale: questa è la nostra esperienza. Le coppie guida, (cf. AL 225) hanno il compito di offrire strumenti pratici e accorgimenti che aiutino a riempire di contenuto e di significato gli incontri delle coppie in parrocchia. Per svolgere questo servizio hanno bisogno di una formazione seria: conseguendo un diploma di consulente familiare, ad esempio presso centri formativi qualificati, acquisendo una buona conoscenza di base dell’antropologia cristiana (es: diploma o master su matrimonio e famiglia all’Istituto Giovanni Paolo II), lavorando con umiltà su di sé, perché solo sapendo lavorare sulla propria coppia si può divenire efficaci guide di altre coppie (es: percorso formativo di Betania).

  • auspicabile infine che le coppie guida svolgano un periodo di tirocinio accanto a coppie guida già collaudate.

Il rinnovamento della pastorale, a cui ci richiama il Papa, non è un’infarinatura di nuovi gerghi teologici: richiede un grande lavoro su di sé e una grande competenza, uniti a una sincera passione per quel tesoro in vasi di creta che è l’amore degli sposi (cfr. in particolare AL 273, 204, 229).

  • il momento quindi di partire nelle parrocchie con nuovi percorsi di accompagnamento per le coppie, di mettere in pratica un metodo di lavoro e di verificarne sul campo l’efficacia, mettendolo a punto di volta in volta, perché “Il tempo è superiore allo spazio” (AL 2).

 

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