“Abitare il Cenacolo” – Omelia Ordinazione sacerdotale diacono Marcello Di Camillo

Abitare il Cenacolo

Omelia per l’ordinazione presbiterale

del diacono Marcello Di Camillo

San Pietro Infine, 8 aprile 2018

 

La liturgia di questa domenica ci riporta ancora nel Cenacolo. Dal Giovedì santo alla Pentecoste la Chiesa si lascia formare da questo ambiente spirituale incisivo e decisivo per la sua vita e missione. Ogni credente è tenuto ad abitare e a familiarizzare con questo “luogo santo” dove il Signore ha consegnato agli apostoli i beni spirituali necessari per la vita dei suoi. Oggi il Risorto ritorna nel Cenacolo (“Stette in mezzo”) per restare al loro fianco, mostrare il suo fianco e le piaghe guarite, segni di misericordia e di perdono, provocare e confermare la loro adesione di fede. Il Cenacolo è il luogo privilegiato dove Gesù dà compimento ai segni del suo amore estremo, “sino alla fine”, e dove fa ripartire la vita della nuova comunità di credenti, rigenerata dall’incontro con Lui.

Carissimo don Marcello,

il Cenacolo è sia grembo, sia dimora del tuo sacerdozio. Oggi vieni generato al ministero ordinato nel “cenacolo” di questa comunità ecclesiale dove il Signore risorto, attraverso l’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione, ti aggrega tra i primi collaboratori degli apostoli e dei loro successori, arricchendo la missione dell’intero presbiterio per l’edificazione della Chiesa particolare che è in Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo. E’ oltremodo benefico e salutare per te, come per ogni presbitero, familiarizzare con i ricchi significati del Cenacolo, epicentro della vita spirituale e della missione presbiterale.

Nel Cenacolo Gesù pronuncia la parola con la quale si consegna alla fragile umanità degli apostoli, sfidando la loro debolezza e miseria: “Fate questo in memoria di me”. In queste parole c’è la gestazione del tuo diventare presbitero. Il Signore non ti assume per una professione, né per un mestiere. La volontà di Gesù è solo affidare agli apostoli il compito di perpetuare ciò che Lui ha compiuto durante la cena pasquale? Cosa significa “fare memoria”?

Fare memoria è innanzitutto “fare comunione” con Lui, ancor prima di ripetere gesti e parole della Cena. Gesù nel vangelo è colui che chiama a sé (Mt 4,19; 9,9; 19,21; Mc 3,13-15) invitando a questa condivisione di vita. Gesù attribuisce a questa comunione i tratti del tutto speciali dell’amore esclusivo: lasciare tutto per Lui, amare Lui più degli affetti più cari.

Fare memoria significa aderire a Lui totalmente e in modo incondizionato, “condividere” tutto di Lui, senza riduzioni  o compromessi; significa  “prendere la propria croce” e “perdere la vita” (Mt 10,38-39), dopo aver “perso la testa” per Lui e per il Vangelo. 

Fare memoria è “perseverare”, rimanere in Lui, per vivere e conservare sino in fondo, a ogni costo, la fedeltà e la stabilità nel proprio ministero nei rigidi inverni delle difficoltà, incomprensioni, prove, e persecuzioni di ogni genere.

Don Marcello caro,  nel Cenacolo il Signore ti mette con chiarezza di fronte anche alla tua debolezza, come ha fatto con gli apostoli ai quali non ha nascosto nulla delle loro fragilità preannunciando le loro umane reazioni di paura e di fuga durante la  sua passione. Anche tu conserva viva la consapevolezza della tua indegnità e inadeguatezza, e con esse la gratitudine infinita per la tua elezione a umile “matita” con cui Lui disegna gli eventi di grazia. Abitare il Cenacolo significa misurarsi con la debolezza di Pietro sì, non certo con la pervicace ostinazione di Giuda. La nostra resta, comunque, una debolezza triste e insidiosa, al limite del fallimento.

E’ la debolezza delle false sicurezze, delle paure, delle confusioni, delle stanchezze, della routine, dell’assuefazione, della fuga dalle nostre responsabilità, degli abbandoni sottili delle nostre responsabilità, non ultima la possibile tentazione della mondanità spirituale di chi si serve del ministero sacro piuttosto che servire: “Per essa noi intendiamo quell’atteggiamento il cui ideale morale, diremo meglio spirituale, sarebbe, invece che la gloria del Signore, il vantaggio dell’uomo” (Anscario Vonier).

Il presbitero deve abitare il Cenacolo per crescere sempre più nella conoscenza del mistero di Cristo, sommo sacerdote, servo e pastore, e favorire una sempre più fruttuosa conformazione del suo ministero alla volontà di salvezza del Signore. Grazie alla familiarità con il Cenacolo, caro Marcello, potrai tradurre il tuo amore in esplicitazioni sempre più concrete, coerenti, mature, estreme: “li amò sino alla fine”, fino all’estremo delle forse, fino allo stremo. Se così deve essere, nulla ti è estraneo dei bisogni dei fratelli che incontrerai nella tua strada: le loro povertà, i loro disagi, le loro speranze, le loro invocazioni struggenti e imploranti, le loro insistenze petulanti e a volte anche fastidiose. La disperazione di chi perde il lavoro, di chi il lavoro non riesce a trovarlo, soprattutto di molti giovani condannati alla discriminazione sociale oltre che economica, di chi viene sfruttato iniquamente dal lavoro nero interpella rumorosamente la tua coscienza di pastore, padre e fratello. Nella consegna della lavanda dei piedi ricevi innanzitutto il comandamento dell’ospitalità incondizionata. Non si possono lavare i piedi di chi non abbiamo mai accolto con il cuore. Lavare i piedi di chi ti cerca è accogliere chiunque come in casa propria, è crescere nel servizio umile dei più deboli, è mettere in conto anche le umiliazioni. Diventare prete, richiede la familiarità con il catino e l’asciugatoio del Cenacolo, per poi indossare indegnamente le vesti liturgiche sfolgoranti di ricami custodite nelle nostre sacrestie.

Nel Cenacolo la sera di Pasqua gli apostoli condividono come “collegio” la gioia della fede: “Abbiamo visto il Signore”, e a tutto il gruppo viene consegnata la missione dello Spirito: “Ricevete lo Spirito Santo”. Gli apostoli sono presenti nel Cenacolo come “insieme”, condividono la fraternità delle loro relazioni. Con l’ordinazione presbiterale anche tu, don Marcello,  entri a far parte della fraternità del presbiterio diocesano. Nel Rito di ordinazione ogni presbitero impone le sue mani sul tuo capo e al termine scambierai l’abbraccio di pace con tutti i sacerdoti, segno dell’accoglienza nella famiglia presbiterale. L’abbraccio dice la responsabilità di prenderci a carico, e non in giro.

Ma la sera di Pasqua l’apostolo Tommaso si trova fuori dal “presbiterio”, per motivi a noi sconosciuti. Anche tra noi capita di avere dei motivi per non andare d’accordo tra preti e con il Vescovo: mai, però, per nessuna ragione al mondo dobbiamo rompere la reciproca fiducia con qualsiasi forma di “rottura”, la trasparenza con l’ipocrisia, la comunione con la contrapposizione. Arrogandoci il ruolo di giustizialisti puritani, siamo tentati di prendiamo le distanze dagli altri confratelli con i nostri pregiudizi, con i nostri giudizi pungenti e a volte persino spietati, con le condanne senza appello, e soprattutto senza ragioni, con le nostre esclusioni settarie, con sospette coalizioni e viziati schieramenti. Quando il Cenacolo della nostra fraternità sacerdotale è profanato dalla divisione, insieme con la comunione si può mettere in crisi e addirittura sospettare della fondatezza della fede personale, oltre che condizionare tristemente la riuscita della  missione pastorale della nostra Chiesa particolare. Fuori dal suo “collegio” l’apostolo Tommaso è in preda a dubbi e resistenze, lancia sfide e detta condizioni: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”.

La pazienza del Risorto è infinita. Caro don Marcello, nel Cenacolo impari a crescere nella fede pasquale, a coltivare l’incontro personale e comunitario con il Risorto, anche con l’esercizio permanente della preghiera personale. Lui incontra i nostri dubbi e ci invita a credere nella sua “carne spiritualizzata”, e a metterci in gioco con tutte le nostre incertezze per lasciarci da Lui toccare nell’animo e vincere ogni resistenza: “Mio Signore, e mio Dio!”.

 Abitare il Cenacolo significa essere destinatari della misericordia del Risorto, il quale la sera di Pasqua mostra le sue mani e il fianco, segnati ancora dalle cicatrici della passione: non ritorna per presentarci il conto, ma per assicurare la grazia della misericordia. Ce lo ricorda in modo speciale questa “Domenica della divina misericordia”. Nel Cenacolo gli apostoli, peccatori perdonati, sono costituiti testimoni e ministri di misericordia incondizionata: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati”.

Quello di oggi, caro don Marcello, è anche Cenacolo della Pentecoste: “Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo” (Atti 2). Nel Cenacolo ogni apostolo familiarizza con l’ebbrezza dello Spirito. La sua effusione spalanca le porte della missione nel mondo, vincendo paure e diffidenze. Don Marcello, ti precede il Signore risorto, e la potenza del suo Spirito.

Non temere! è l’invito che ti sussurra nel cuore la Vergine Bruna di Canneto, verso la quale conserverai sempre la tua particolare devozione e affidamento.

 

+ Gerardo Antonazzo

 

Categorie: Diocesi,Documenti e Omelie,Tutte Le Notizie

Tags: ,